Dendera File
del Dr. Clarbruno
Vedruccio
Le antenne del grande radio telescopio
galleggiano nella nebbiolina di questo freddo pomeriggio di dicembre, il sole si
è fuso in un colore misto di rosa e di ghiaccio. Lo sguardo si perde
nell’orizzonte attraverso le robuste sbarre delle finestre del laboratorio,
mentre gli innumerevoli schermi delle strumentazioni di cui sono circondato
sembrano guardarmi con aria interrogativa. E' qui che passo gran parte del mio
tempo lavorativo, quando non sono impegnato in Università ad Urbino, con i miei
allievi. Da ragazzo mi piaceva leggere le storie di fantascienza di Asimov,
Einlein, Silversberg e tanti altri famosi autori, ora con non poco stupore mi
ritrovo a viverne una, che sembra aver percorso migliaia di anni e di chilometri
per finire sulla mia scrivania. Per quasi venti anni mi sono occupato di
sviluppare e studiare apparecchiature elettroniche militari, sistemi radio,
laser, dispositivi per la visione notturna o termica. Personalmente mi definisco
un curioso, sebbene scettico e forse ipercritico, d'altro canto, non è facile
occuparsi di queste tecnologie senza una buona dose di spirito "di
frontiera" ancorato a solide basi pragmatiche. Mi sono laureato in fisica e
poi ho ottenuto il famigerato PhD in ingegneria elettronica, con una tesi
sperimentale su di un sistema della valutazione dell'onda d'urto, il bang
supersonico, prodotto da accelerazioni elevate … materie militari, negli Stati
Uniti, il tutto dopo aver abbandonato, ormai al termine, gli studi di geologia
compiuti presso l'Università di Bologna.
Così per anni mi sono ritrovato a valutare, riconvertire, progettare e
modificare vecchi e nuovi sistemi provenienti da un po’ tutto il mondo
tecnologicamente avanzato. A volte mi sono dovuto rimboccare le maniche e fare
quella "retroingegneria" che tanti cultori di ufologia attribuiscono a
vari "laboratori segreti". Nel mio caso di segreto ce ne era molto
poco… spesso si trattava di capire come fosse stata realizzata una
apparecchiatura di cui non si possedevano istruzioni e manuali dettagliati, e
magari studiarne delle contromisure. Un lavoro tutt'altro che misterioso quindi.
Sebbene da anni abbia ormai abbandonato questo tipo di attività, mi sono
rimaste le capacità di correlazione e la grande esperienza maturata fin dai
tempi in cui studente, mi procuravo e riutilizzavo vecchie apparecchiature
dell'esercito USA che negli anni settanta erano disponibili in grande quantità
nel mercato surplus.
La storia di cui sto per parlarvi
rappresenta per me un classico esempio di retroingegneria, ha sfidato i millenni
per giungere fino a noi ed affonda le sue radici nell'antico Egitto. Prima però
di addentrarci in questo discorso desidero farvi comprendere al meglio il
"modus operandi" di un buon team che si occupi di retroingegneria. A
titolo puramente esemplificativo prendiamo in considerazione il guscio di un
comune telefono cellulare Motorola "Microtac". Estremamente ergonomico
e pratico sembra essere stato studiato da arditi designer, prende anche in parte
spunto dai comunicatori della serie televisiva Star Trek della prima generazione
(inizio anni 70). Ebbene, la fotografia ci svela un antenato quasi sconosciuto:
il ricetrasmettitore portatile GF1 della Ducati Elettronica di Bologna
fabbricato in Italia verso gli inizi degli anni 60! Non credo che possano
sussistere incertezze, certo si tratta di indizi, ma la somiglianza è davvero
notevole. A questo punto ci si potrebbe chiedere a chi si siano ispirati i
designers della Ducati, presto fatto: hanno scopiazzato una classica radio
ricetrasmittente portatile a banana dell'inizio anni 50 in dotazione
all'esercito USA, la AN/PRC6, aggiungendo lo sportellino apribile del microfono,
poi ereditato da Motorola, e separando le batterie dall'apparecchio.
Fin qui tutto fila liscio, e nessuno si sente di dubitare della corretta
sequenza temporale e delle spontanee correlazioni che possono emergere ad una
analisi anche superficiale. I problemi iniziano non appena si prendono in
considerazione tecnologie elettroniche verosimilmente utilizzate da un ristretto
gruppo di sacerdoti dell'antico Egitto, in un tempo in cui queste cose non
dovrebbero essere ancora state scoperte. Eppure bisognerebbe ben interrogarsi
circa il significato che siamo abituati ad attribuire a quest'ultimo termine.
Certamente le immagini rappresentano una "discontinuità"
storico-culturale e quindi, si è portati ad attribuire una valenza rituale, ma
spesso mi chiedo cosa penserebbero dei futuribili archeologi, se fra 5000 anni
trovassero incise su pietra immagini di personal computer o fermacarte in
metallo di modellini di automobili o aeroplani, appartenenti alla nostra epoca..
Dendera
Siamo ormai arrivati a maggio, e da un
po’ di mesi carte, fotografie e disegni anno invaso il mio studio. Sono le
enigmatiche foto di una delle cripte del tempio della dea Hator a Dendera. Il
richiamo che viene da queste immagini incise su lastre di pietra è molto forte,
le strane ampolle esageratamente grandi rispetto al resto del disegno sembrano
indicare la dimensione reale degli oggetti , oppure la loro straordinaria
importanza. Le "pietre delle serpi", così chiamate dagli egittologi,
rappresenterebbero complessi rituali di culto e di "illuminazione". Su
questo punto non posso che essere d'accordo, il rituale ed il culto impregnano e
pervadono lo spirito degli antichi egizi, in questo caso, fino a snaturare il
significato tecnico-scientifico dei disegni. Proprio questo aspetto mi fa
ritornare alla mente il racconto di una antologia di Asimov, quello che parla
del Beato Leiboviz, vissuto verso i primi anni del ventunesimo
secolo, dei suoi disegni (gli schemi elettrici dei calcolatori elettronici che
come tecnico riparava) e, del culto che un fraticello che si reca nel deserto in
meditazione, instaura una volta tornato al suo monastero con i disegni del sig.
Leiboviz, trovati in una cassetta di metallo semi sepolta dalla sabbia. Dunque
al suo ritorno in monastero, ottiene il permesso dal Priore di poter affrescare
nella cappella gli schemi elettrici, però trovandoli un po’ scarni e freddini,
decide di aggiungere rami di edera e qualche putto, a reggere moduli e
collegamenti. Il tutto in una civiltà dedita alla pastorizia e all'agricoltura
centinaia di anni dopo una immane catastrofe che ha coinvolto il pianeta.
Questo breve racconto ci deve fare riflettere su ciò che lo studioso di
competenza prevalentemente storica può più facilmente essere portato a
cogliere. Vi sono degli aspetti che certo non possono appartenere alle
conoscenze degli studiosi di queste antiche civiltà. Gli storici e gli
archeologi difficilmente sono anche tecnologi o specialisti in telecomunicazioni
o in fisica tecnica.
Quello che immediatamente risalta alla vista di uno specialista in tali materie,
molto difficilmente può essere compreso da un umanista, purtroppo nella
formazione scientifica del 900 si sono create delle incolmabili differenziazioni
di ambiti, e un settore spesso è abissalmente separato dagli altri.
Un cenno storico
Ritrovate verso la metà dell'800 dal
famosissimo Auguste Mariette, che fondò il Museo Egizio del Cairo, le cripte di
Dendera furono prima vuotate dalla sabbia e dai detriti accumulati nel tempo,
poi le incisioni sulle pareti, furono riportate scrupolosamente su carta
disegnata a mano dall'egittologo. A quell'epoca non esistevano le lampadine
elettriche e tantomeno la macchina fotografica. Si doveva lavorare con le
lampade da minatore.
Mariette pubblicò poi in Europa nel 1869, il suo lavoro in ben
cinque volumi, seguito poi nel 1877 da un altro studioso tedesco, Johannes
Dumichen con la sua opera intitolata Bauurkunde von Dendera. Soltanto
nel 1934 il francese Emile Chassinat fotografò gli interni delle cripte
e poi pubblicò vari volumi sull'argomento per l'Istituto Francese di
Archeologia Orientale di Parigi: Le Temple de Dendera in 4
volumi(1934).
Oggi, quando si parla del tempio di
Hator difficilmente se ne fa menzione. D'altro canto rappresentano solo un
rituale! Uno dei tanti.
Forse però non sono state così dimenticate, visto che nel 1973, queste cripte,
vennero chiuse a seguito di un clamoroso furto, perpetrato ai danni di molte
delle incisioni sulle lastre di pietra che adornavano le pareti. Oggi non sono
più visitabili, sbarrate da grosse cancellate di ferro. Mi domando cosa
contenessero di tanto importante da essere sottratto alla vista.
Qualcosa però è rimasto, fotografie, disegni e con un po’ di fortuna la
possibilità di visitare l'unica cripta rimasta aperta, quella delle "pietre
delle serpi". A questo punto il mistero si infittisce.
Il misterioso pilastro Jed agli occhi di un tecnico
La immediata familiarità dei
manufatti raffigurati in queste incisioni ci deve fare riflettere: da un
lato si nota immediatamente il contenuto ritualizzato della tavola, dall'altro
oggetti sicuramente tecnologici risaltano in primo piano. Abbiamo quindi le
ampolle, i pilastri Jed alla loro base, cavi di collegamento e
quant'altro per riconoscere in un rituale, uno schema tecnologico un po’
alterato dalla non conoscenza esatta, da parte del disegnatore, di tutti i
dettagli tecnici correlati. Molto probabilmente i sacerdoti del tempio, dovevano
aver ereditato parte della capacità di usare gli oggetti disegnati, ma a mio
avviso, non dovevano essere padroni della tecnologia, ma solo parziali utenti.
A questo punto il mio amico egittologo Kalil Messiah direbbe che questi oggetti
raffigurati non sono mai stati trovati e quindi i disegni non provano null'altro
che uno dei tanti rituali sacri. La risposta non può essere che polemica, se
questi oggetti sono rimasti interi alla caduta della civiltà egizia, dubito che
nei millenni non siano andati smembrati trafugati o distrutti per ignoranza o
per recuperare i materiali con cui erano costruiti. Antiche leggende raccontano
di luci eterne nella antica Roma, forse una di queste macchine fu proprio
trafugata dalle Legioni Romane millenni orsono… Ma queste sono solo
congetture..
Però Kalil, senza volerlo, aggiunge una tessera al puzzle. Durante il Convegno
di Paleo Astronautica tenutosi il mese scorso a San Marino, proietta una
diapositiva tratta dal libro di Francesco Tiradritti intitolato The
treasures of The Egyptiam Museum, pubblicato in Egitto dalla American
University in Cairo, 1999, la fotografia è a pagina 44 e mostra un dettaglio di
uno Jed racchiuso da un rettangolo.
Questa immagine è molto importante ed è una conferma della struttura tecnologica e del funzionamento dello stesso Jed perché illustra gli strati superficiali dell'avvolgimento del trasformatore a "nido d'ape". Questo particolare trasformatore, potrebbe essere stato realizzato avvolgendo molte spire di filo di rame isolato con cotone o canapa e poi ricoperto da pece o cera. Il nucleo, il pilastro di supporto, se fosse stato in materiale ferroso, o meglio in basalto del Sudan avrebbe garantito un ottimo rendimento della apparecchiatura, per via delle particelle ferromagnetiche orientate dal paleo magnetismo, al tempo in cui il basalto, materiale proveniente dal "mantello" terrestre, ovvero di natura effusiva, si era raffreddato venendo in superficie. Le fotografie mostrano degli Jed moderni, si tratta di dispositivi atti a trasformare impulsi elettrici da bassa ad alta tensione, oppure ad opporsi al passaggio di componenti alternate ad alta frequenza.
Insomma dei trasformatori con particolari caratteristiche, in cui il filo di rame ricoperto di strati di cotone veniva avvolto nella classica struttura definita "a nido d'ape". La realizzazione ad anelli separati da gole è molto importante, in quanto migliora l'isolamento tra le spire di filo, riduce le capacità parassite e migliora in modo rilevante il rendimento e la banda passante dello stesso trasformatore. Erano molto usati nei circuiti elettronici a valvole degli anni 50 -60 . Il disegno pubblicato sul libro di Francesco Tiradritti mostra incisioni incrociate, raffigurazione classica per rappresentare gli avvolgimenti a nido d'ape. Il serpente sopra inciso completa il quadro. Quindi lo Jed, da un punto di vista tecnologico rappresenta un eccellente dispositivo per generare alte tensioni, un po’ come fanno oggi le bobine delle automobili, che trasformano la tensione della batteria a 12 o 24 volt in 10 -15000 volt adatti a fare scoccare le scintille sulle candele.
Il primo trasformatore di impulsi della storia moderna è la bobina di Oudin, dispositivo quasi dimenticato, e che poi è un parente stretto della bobina di Tesla. Anche il rocchetto di Ruhmkorff è molto simile, come principio, ed si colloca attorno alla seconda metà dell'ottocento. Di affine con lo Jed hanno un nucleo centrale cilindrico in ferro con su avvolte un elevato numero di spire di filo di rame isolato. Sebbene sotto un profilo strutturale siano simili allo Jed, solo i trasformatori per alte frequenze ne sono perfettamente corrispondenti. Questo porta a supporre che lo Jed sia stato realizzato, nella sua forma operativa e non mitizzata o rituale, da qualcuno molto esperto nel trattamento dei segnali ad alta frequenza, in altre parole un buon ingegnere in telecomunicazioni. In fin dei conti gli oggetti simil-jed nelle foto, sono stati sviluppati attorno al 1930, quando ormai la radiotecnica aveva iniziato a fare progressi anche nelle microonde. La fotografia in alto mostra una radio trasmittente sperimentale (montata su una tavoletta di legno) a tubi termoionici, si può notare uno "Jed" a 5 gole, usato come "impedenza di placca".
Le lampade a cosa servivano e come funzionavano
Credo che la funzione specifica di queste ampolle non sia quella che si evince dalle lastre di pietra, questi disegni rappresentano un rituale e non un uso tecnico. Personalmente ritengo che il primo impiego non fosse destinato a fare luce, ma a generare raggi x a bassa energia, forse per applicazioni legate alla mineralogia, ovvero alla ricerca di materiali fluorescenti ai raggi x. Evidentemente il creatore di questi dispositivi doveva avere bisogno di qualcosa che emettesse tali radiazioni. Il disegno che mostra il dio Thot con i coltelli alzati davanti alla lampada, fa comprendere al tecnico che quella zona è pericolosa. Infatti i raggi x si irradiano proprio dal bombardamento degli elettroni (la serpe) contro il bersaglio costituito dai braccetti all'interno della ampolla. Una altra emissione è anche generata dal bombardamento da parte degli elettroni accelerati sul silicio della parte del tubo perpendicolare alla "serpe". Nelle foto di Dendera la serpe ha la testa rivolta verso l'alto: anche questo effetto è comprensibile, si tratta della deformazione della scarica di ionizzazione "serpe" a causa dell'impulso magnetico generato durante le fasi di conduzione (di innesco) del trasformatore Jed. Un effetto noto come deflessione magnetica ed impiegato per formare l'immagine sugli schermi televisivi.
Il pilastro Jed, è inserito nel sistema
come trasformatore elevatore degli impulsi ad alta tensione, avvolto forse, come
nella precedente descrizione, su un nucleo di basalto del Sudan. Batterie e
dispositivo di generazione degli impulsi sono facilmente riconducibili alle
figure di corredo. Il Jed doveva essere considerato tanto importante da essere
stato riprodotto in tanti disegni ed incisioni, un vero e proprio mito del
cargo.
La sua costruzione doveva essere veramente rivoluzionaria per l'epoca, specie se
oltre che come generatore di forza elettrica fosse stato usato come folgoratore.
In effetti il vero protagonista sembra proprio essere lui, che nella traduzione
significherebbe forza, potenza ecc.
Ma torniamo alle lampade, come dicevo, realizzate in forma incredibilmente
familiare, sembrano oggetti di relativamente moderna fattura. E se fosse il
contrario? In effetti all'epoca in cui Mariette aveva pubblicato la sua
monumentale opera su Dendera, nel 1869, Thomas Alva Edison non aveva ancora
realizzato la lampadina ad incandescenza che apparve solo due anni dopo nel
1871. Da notare inoltre che lo scienziato inglese Sir William Crookes,
noto cultore di spiritismo ed di discipline esoteriche, in seguito a studi
condotti dal 1872 al 1879 realizzò una serie di ampolle in atmosfera fortemente
rarefatta che permisero poi al grande Roentgen di scoprire i raggi
x nel novembre 1895. Il disegno dell'epoca , dell'esperienza di Roentgen
del 1895 è illuminante! Si può infatti vedere il tubo di Crookes
ancorato ad un supporto ed alimentato tramite un rocchetto di Ruhmkorff.
Si notino bene i dettagli: la lampada ha un filo che entra dalla parte più
stretta, dal fiore di loto se volessimo parlare per metafore egizie, l'altro
elemento, il polo positivo è collegato al terminale di alta tensione del
trasformatore di impulsi. Anche questo polo è assimilabile a quello della
lampada di Dendera: il punto dove i braccetti fuoriescono dal pilastro jed ed
entrano nella lampada. I punti di ancoraggio sono troppo simili per essere un
caso. Chiaramente si tratta di prove indiziarie, però se tutto questo lo
trasportassimo in un ambito scolastico, e durante un ipotetico compito in classe
di tecnologia, due allievi presentassero degli elaborati così simili,
l'insegnante non ci metterebbe molto ad accusarne uno di aver dato un'occhiata
al lavoro del suo collega. Ma forse le cose non sono andate così, la terra può
continuare ad essere piatta, per i contemporanei di Galileo, gli egizi
non hanno mai avuto contatti con tecnologie elettroniche provenienti da chissà
dove o forse non si deve entrare nell'ottica che portava Einstein a
chiedere mestamente al suo collega Abraham Pais: " Veramente lei
è convinto che la Luna esista solo se la si guarda?"
A me però piace pensare il contrario, preferisco credere che alcuni grandi
padri della scienza moderna, anziché guardare scetticamente alle antiche
incisioni di Dendera, siano stati incuriositi, e con quello spirito che alberga
nell'anima dei pionieri, abbiano cercato di capire, guardare oltre il rituale,
iniziare la grande avventura della moderna tecnologia, attraverso un messaggio
sepolto da millenni in una cripta di un tempio dell'antico Egitto, e che solo
alcuni di loro, in quell'epoca di grandi cambiamenti, avrebbero potuto capire.
Ricordi …
E' una notte di circa 5000 anni fa, un gruppo di sacerdoti egizi scende su due file nella cripta delle lampade lungo le scalinate del tempio di Hator. Ognuno di loro trasporta una scatola finemente lavorata, munita di terminali elettrici. Questi terminali vengono quindi collegati al sistema di produzione degli impulsi, attraverso fili di rame isolati da perline di terracotta o di vetro. Le scintille elettriche iniziano a scoccare attraverso il ruttore oscillante e lo Jed le amplifica facendo apparire la mistica serpe luminosa nel grande bulbo di vetro. Il campo magnetico oscillante fa contorcere la scarica elettrica, che sembra essere una serpe viva. I sacerdoti da anni eseguono la stessa procedura, non ne conoscono il significato tecnico, ma il rito continua a ripetersi. Quando la funzionalità degli strumenti verrà meno ne sarà affidata la memoria alla pietra.
Bibliografia:
David Lindley - La Luna di Einstein Ed. Longanesi &C. , Milano, 1997.
Peter Krassa, Reinhard Habeck - La Luce dei Faraoni Ed. Ecig, Genova,
1998.
Franco Soresini - I nonni dei tubi termoelettronici, in "Radio Kit
Elettronica", n.12/1999 pp. 63-67.
Harry Simons - Book of projects for the amateur scientist Ed. Scientific
American, Simon and Shuster inc. New York, 1960 (http://xray.uu.se/hypertext/VacNews2.html)
Some various type of X-Ray Tubes."Internet" (http://www.cc.emory.edu/X-RAYS/century.html
)
Per approfondimenti riguardo la storia della scienza degli ultimi 150 anni, su
internet all'indirizzo: http://www.pa.msu.edu/~brock/d0_homepage/physics-posted/hep-surprises-1.html
Radio Sets AN/GRC-3,4,5,6.7 and 8. TM11-284 Departments of the Army and the
Air Force - United States Government Printing Office . Washington, 1953 .
Francesco Tiradritti - The treasures of The Egyptian Museum, pubblicato
in Egitto dalla American University in Cairo, 1999, p.42
Appendice per esperti e dilettanti in tecnologie elettroniche
Questa immagine è relativa ai primi tubi per raggi X, in alto a sinistra ( 1 ) si può notare il famoso tubo di Crookes. La somiglianza con le lampade di Dendera è troppo straordinaria per poter essere frutto del caso.
Schema realizzativo di un rudimentale generatore sperimentale di raggi X
Si può notare quanto questa tecnologia
possa essere semplice e alla portata di qualunque dilettante di scienza e
tecnologia. Gli avvolgimenti e la valvola termoionica ricalcano in maniera
estremamente evidente le figure del Tempio di Dendera. Naturalmente questa
macchina, descritta sul libro tratto da articoli di "Scientific
American", è stata realizzata da dilettanti di tutto il mondo, in maniera
soddisfacente.
Le tematiche trattate in questo testo sono state oggetto di tre conferenze: la
prima tenutasi a San Marino, nell'ambito del I° Simposio Mondiale sulle
origini perdute delle Civiltà e gli Anacronismi storico-archeologici,
organizzata da Roberto Pinotti (Presidente del CUN) in data 25-26 Marzo 2000; la
seconda nel contesto del III° Convegno Ufologico Nazionale Città di Ancona
organizzato dal CIFAS in data 7-8 Aprile 2000; la terza nell'ambito del III°
Meeting Internazionale d'Ufologia organizzato dall'USAC (Prof. Sebastiano Di
Gennaro, Direttore e Supervisore scientifico) in data 13-14-15 Ottobre nella
città di Occhiobello (RO).
Si ringrazia Adriano Forgione per aver fornito parte del materiale fotografico
sulle cripte di Dendera.
(Relazione del III Meeting Internazionale di Ufologia dell'USAC 13-14-15
Ottobre 2000)
Centro Accademico Studi Ufologici
Via Baccanazza, 13
45030 - Santa Maria Maddalena (Rovigo)