Un homo saurus nel racconto
di H.P. Lovecraft intitolato
Dagon?

di Antonio Marcianò
2 Giugno 2006
Howard Phillips Lovecraft (Providence, Rhode Island, 1890-1937) è generalmente ritenuto un autore dell’orrore, ma, “per il particolare senso di cinismo cosmico che gli è connaturato, può considerarsi un trait d’union tra il soprannaturale e la fantascienza”.[1] La sua disincantata e sbigottita visione del mondo è espressa in molti racconti ed in qualche romanzo. Un vero punto di svolta nella sua poetica è il breve Dagon, (1917) che prelude alla saga mitica di Chthulhu. Il richiamo di Chthulhu (The call of Chthulhu , 1929) è la più celebre di una serie di novelle in cui agiscono i Grandi antichi, gli dei iperspaziali che tentano di sopraffare gli uomini.
 

 

In Dagon, l’io narrante e protagonista, è un marinaio. Dopo che il cargo, su cui viaggia, è affondato da un cacciatorpediniere tedesco al largo del Pacifico, l’uomo è fatto prigioniero, ma riesce a fuggire su una scialuppa. Trascorsi alcuni giorni, spinto dalle correnti, improvvisamente, il naufrago approda su un’isola dalle sponde limacciose, non segnata sulle carte. Qui, indotto da curiosità, s’inoltra in una grotta sotterranea, dove scorge un ciclopico monolito su cui sono incisi strani geroglifici. D’un tratto un’orrida creatura anfibia si risveglia. Datosi alla fuga di fronte alla terrifica divinità degli abissi, l’uomo è tratto in salvo da una nave statunitense e ricoverato nell’ospedale di San Francisco. Dimesso dal nosocomio e tornato a casa, il marinaio si accorge che l’essere mostruoso l’ha seguito sin lì.

 

All’interno del testo, si rivela di grande interesse la descrizione di Dagon, la creatura anfibia cui l’autore diede il nome di un’antica divinità filistea. Dagon, di notevole statura, è “dannatamente umano, nonostante le mani ed i piedi palmati. Ha le labbra grosse, cascanti, gli occhi vitrei e sporgenti… gli arti superiori coperti di squame.” [2]

 

L’icastica raffigurazione del dio batraciforme richiama i resoconti di alcuni testimoni che nel corso, per lo meno, di questi ultimi decenni, hanno avvistato nel Polesine, ma anche in altre regioni italiane e del mondo, grottesche entità presumibilmente anfibie. Si può pensare ad una semplice coincidenza, considerando la fervida, visionaria fantasia di Lovecraft. Sennonché recentemente è intervenuta una sorprendente scoperta, ossia il ritrovamento di un manoscritto, che sembra autentico, in cui il narratore statunitense racconta di un suo viaggio in Italia, per la precisione nel Polesine. È possibile che Lovecraft,  venuto a conoscenza di leggende (?) sull’inquietante creatura che  popola la zona, decise di trarvi spunto per il suo racconto le cui sequenze centrali sono ambientate in un luogo paludoso, non molto dissimile dall’ambiente naturale in cui sfocia il fiume Po.

 

Naturalmente non si deve dimenticare l’influsso delle tradizioni letterarie, la volontà, ad opera dell’autore, di creare un’atmosfera da incubo, ma sia l’ambientazione sia la presentazione dell’orrendo ibrido uomo-rettile o meglio uomo-anfibio, sembrano connettersi a quello che il chimico ed ufologo Sebastiano Di Gennaro ha battezzato, dopo averlo a lungo e diligentemente studiato, homo saurus, un essere, presumibilmente, extraterrestre. [3]

 

Stando alle varie testimonianze, l’homo saurus, è alto due metri, due metri e mezzo. Le mani, con quattro dita, sono palmate. I piedi sono dotati di tre dita ungulate e, in alcuni, casi, palmati, quindi adatti al nuoto. La testa è piuttosto grossa e si protende in un muso allungato, il collo è sottile. Le cavità orbitali sono grandi e la pupilla, verticale come quella dei rettili, si staglia su una cornea giallastra o rosso-giallastra. Il corpo è ricoperto da scaglie verdastre. [4]

 

Questa entità anfibia ricorda pure delle creature i cui caratteri somatici sono stati rievocati da rapiti sotto ipnosi: si tratta di alieni alti circa due metri e quaranta, dalla pelle bianca ed umidiccia, testa con occhi grossi, circolari, mani palmate, terminanti in dita dai polpastrelli ingrossati sulla punta. [5]

 

 

La vicenda relativa al ritrovamento del manoscritto è stata ricostruita in un film-documentario. La pellicola è intitolata H.P. Lovecraft Ipotesi di un viaggio in italia. (2002) La regia è di Federico Greco e di Roberto Leggio. Quella che segue è la trama del cortometraggio, ripercorsa da Luca Durante, in uno speciale ad hoc.

 

 

“Nel luglio del 2002 il giornalista romano Roberto Leggio ritrova per caso, all’interno di un libro acquistato in una bancarella di Montecatini (PT), un vecchio ed ingiallito diario in forma di lettera con date comprese tra il maggio ed il luglio del 1926. Il contenuto del documento, invero piuttosto lacunoso, descrive tutti i momenti salienti di un viaggio iniziato dalla costa orientale degli Stati Uniti fino alla regione del Polesine, nel Veneto. Assieme agli appunti di viaggio, è presente una serie di riflessioni sulla suggestione dei luoghi con riferimenti alle numerose leggende del Polesine, in particolare ai Racconti del Filò.

 

Il manoscritto è indirizzato ad Alfred Galpin e reca la firma “Grandpa Theo”. Galpin, che visse molti anni a Montecatini, è un nome noto agli studiosi di Lovecraft poiché è uno dei pupilli dello scrittore di Providence, mentre “Grandpa Theo” è uno fra gli pseudonimi usati da Lovecraft nella copiosa corrispondenza con colleghi ed amici… Leggio, assieme al collega ed amico Federico Greco, giornalista e documentarista, decide di far visionare il documento al Prof. Sebastiano Fusco, probabilmente il più noto e rigoroso esperto di Lovecraft in Italia… Dopo tutta questa serie di rocambolesche coincidenze, Leggio e Greco decidono di intraprendere un vero e proprio viaggio di ricerca nelle terre del Delta del Po. Lo scopo è quello di verificare l’ipotesi secondo la quale Lovecraft, al contrario di quanto noto ai suoi storiografi, avrebbe viaggiato in Italia nel 1926, traendo ispirazione dallo stesso viaggio e dai Racconti del Filò, per la composizione delle sue opere successive. Queste ultime sono destinate a diventare la parte centrale e fondamentale di tutto il ciclo di Chtulhu (tra cui il celebre The shadow over Innsmouth) e, probabilmente, anche quelle che conferirono maggiore notorietà a Lovecraft, facendolo assurgere a grande maestro della narrativa fantastica di ogni tempo.

 

Nasce così H. P. Lovecraft Ipotesi di un viaggio in Italia (26’)… prodotto dalla Digital desk, di Piergiorgio Bellocchio e Andrea Marotti.

 

Gli autori ricostruiscono in base alle pagine del presunto diario di Lovecraft tutta l’ipotetica permanenza ed il pellegrinaggio dello scrittore nei luoghi più mistici e solitari del delta del Po.

Già la prima sequenza dischiude tutto il fascino ed il mistero che ammanta questo manoscritto ritrovato per tutti gli appassionati della grande narrativa fantastica del XX sec.: Sebastiano Fusco chiede di vedere il manoscritto, che si presenta come un plico ingiallito e consunto dentro il quale è riposto un folto numero di pagine densamente riempite con inchiostro blu. La calligrafia, abbastanza nota agli esperti di HPL, intervallata da disegni di paesaggi e creature fantastiche, sembra essere proprio quella dello scrittore del Rhode Island. Fusco esamina le prime pagine con occhio attento ed afferma che, in caso di autenticità del documento in questione, si potrebbe parlare della scoperta del secolo per tutti gli studiosi lovecraftiani. Ha così inizio un viaggio in una sorta di dimensione parallela; un viaggio introdotto da un’efficace voce fuori campo su tutte le tappe salienti del diario, inframezzando la narrazione con una serie di preziosi interventi di studiosi del folklore locale (G. Sparapan, E. Baldini, C. Crepaldi), abitanti del Polesine, ed esperti lovecraftiani (S. Fusco, G. De Turris).

 

Un'altra parte integrante del cortometraggio, è interamente costituita da testimonianze vere di abitanti del luogo. ..Si costruisce così un suggestivo identikit di un potenziale homo saurus, una  creatura la cui specie, secondo i Racconti del Filò, abiterebbe da millenni le zone lagunari del territorio…””[6]

 

Per quanto mi consta, gli esperti non hanno ancora appurato se il manoscritto sia autentico o non, anche se essi sembrano propensi a ritenerlo genuino. Si sarebbe portati a concludere che, per il racconto Dagon, Lovecraft abbia attinto alla tradizione del Polesine, se non fosse che il testo risale al 1917, mentre il presunto viaggio in Italia fu compiuto nel 1926.  E’, invece, posteriore al tour nella penisola, un altro celebre racconto, La maschera di Innsmouth (The shadow over Innsmouth, 1931), dove viene rappresentata una città maledetta, sfuggita da tutti, i cui abitanti, che, con l’età, assumono sembianze sempre più mostruose, sono l’ibrido prodotto di una turpe alleanza con un Popolo dell’abisso, formato da creature anfibie di incommensurabile antichità. Gli avvenimenti hanno per cornice uno scenario che, per molti versi, ricorda il Polesine, anche per tutta una serie di inquietanti rimandi a case dell’entroterra, totalmente disabitate e dalle finestre sbarrate da assi.

 

Entrambe le novelle, per quanto attiene alle orride creature, trovano la loro figura di riferimento in Dagon, dio semitico occidentale che i Filistei, o Peleset, cominciarono ad adorare dopo il loro insediamento in Palestina. Dagon, il cui nome è forse in rapporto con la parola ebraica che significa “pesce”, fu particolarmente venerato a Gaza. Alcuni glottologi vedono nella radice ***dgw il valore di “scuro, tenebroso, piovoso”: perciò Dagon fu forse un nume della pioggia, anche se sono attestati i suoi legami col grano e quindi con la morte, in relazione al ciclo vegetativo del cereale, ciclo che rispecchiava la transizione dalla vita alla morte e viceversa. [7]

 

Tale antica divinità ha probabilmente il suo archetipo in Oannes, il dio-pesce, che, secondo i Sumeri, aveva portato la civiltà alle popolazioni installate nella Mesopotamia. Ogni sera rientrava nel mare e rimaneva in acqua, perché era anfibio.[8] L’origine ed il significato del nome Oannes sono oscuri: alcuni pensano possa risalire ad Ea, il dio marino dei Sumeri; altri vedono un legame con Giona, personaggio biblico.

 

Da un punto di vista cultuale e fonico, anche se in un’area ed in un periodo storico molto distanti, Oannes è accostabile a Giano (Ianus), divinità tra le più antiche del pantheon quirite. Anche Giano è legato all’acqua: infatti egli avrebbe introdotto l’uso delle navi per venire dalla Tessaglia in Italia, (le più antiche monete dell’Urbe portavano sul diritto l’effigie del dio e sul rovescio una prua di nave). Sua sposa fu la ninfa Giuturna da cui ebbe un figlio, Fonte, dio delle sorgenti. Un altro suo rampollo fu Tiber, eponimo del Tevere. Il bifronte Giano, come Oannes, incivilì le genti con cui venne in contatto. [9] 

 

 

 

 

 

Specchietto comparativo per evidenziare le analogie (e le differenze) tra Dagon e l’homo saurus.

 

 

 

Dagon

Homo saurus

Creatura anfibia

Creatura anfibia

Mani e piedi palmati

Mani e piedi (?) palmati

Statura notevole

Statura notevole

Occhi vitrei e sporgenti

Occhi con pupilla verticale e cornea rosso-giallastra

Corpo coperto di squame

Corpo coperto di squame

 



 
 

Note


[1] Vedi Grande enciclopedia della fantascienza a cura di F. P. Conte, vol. XII, s.v. Lovecraft. Si rimanda a tale doviziosa enciclopedia chiunque voglia approfondire la conoscenza di questo maestro della letteratura fantastica.

[2] Riporto il nucleo descrittivo nell’originale in inglese: “Grotesque beyond the imagination of a Poe or a Bulwer, they were damnably human in general outline despite webbed hands and feet, shockingly wide and flabby lips, glassy, bulging eyes and other features less pleasant to recall”.

 

[3] Cfr. S. Di Gennaro, Homo saurus, una creatura aliena sta popolando il nostro mondo, Ferrara 2002. Rinvio a questo testo per ogni ulteriore informazione sull’inquietante creatura. Vedi anche A. Marcianò, I serpenti nel mito greco ed i Rettiliani nell’Ufologia, 2005, con la bibliografia ivi contenuta. 

[4] S. Di Gennaro, op.cit.

[5] Vedi C. Malanga, Alien cicatrix, 2005. Nel suo libro, dedicato al problema dei rapimenti ed alle interferenze aliene nella mente umana, l’ufologo introduce una classificazione delle specie extraterrestri basata sui ricordi e sui vissuti dei rapiti.

[6] Vedi L. Durante, H.P. Lovecraft, Ipotesi di un viaggio in Italia, 2004. 

 

 

 

[7] Su Dagon, vedi G. Garbini, I Filistei.

[8] Vedi Berosso, Babyloniacà. Così si esprime lo storico del III sec. a.C.:“Era comparso dal Mare eritreo. Diceva di chiamarsi Oannes ed era un animale dotato di raziocinio; tutto il suo corpo era come quello di un pesce; aveva sotto la testa di pesce un'altra testa e dei piedi umani, aggiunti alla coda di pesce. Anche la sua voce ed il linguaggio erano umani e articolati.  Ancora oggi si venera la sua immagine”.

Su Oannes vedi A. Lissoni, Altri UFO, Diegaro di Cesena, 2001, pp. 177-182. Il ricercatore riporta l’etimologia di Dopatka che fa risalire il nome Oannes ad un vocabolo del siriaco antico, col valore di “straniero”. 

[9] Cfr Enciclopedia dell’antichità classica, Milano, 2000, s.v. inerente.


 
 

Home USAC