TESTIMONE OMERO

di Elia Argazzi

        Supponiamo che in un futuro quasi prossimo dalla Terra parta un’astronave in cerca di pianeti ricchi di quelle materie prime che già cominciano a scarseggiare. E supponiamo che la spedizione scenda su un pianeta abitato da uomini ancora all’inizio della scala evolutiva. I nostri astronauti preferiscono insediarsi sulla cima della montagna sia per evitare un contatto diretto con gli indigeni sia per non influire sulla normale evoluzione del pianeta.

        E adesso immaginiamo di essere là e di dover descrivere i minatori che escono dalla miniera: noi affermeremmo che sono uomini che portano sulla testa un casco protettivo, fornito di una lampada sul davanti. Noi abbiamo descritto ciò che sappiamo. Ma un abitante di quel pianeta come descriverebbe i minatori? Non potrebbe dire ciò che non sa ma solo ciò che vede: strani esseri, molto alti, con un solo occhio in mezzo alla fronte, che vivono nelle viscere della Terra. Proprio come i Ciclopi: esseri giganteschi con un solo occhio che dal sottosuolo terrestre forniscono di fulmini Zeus, il re degli dei. I nostri minatori, però, non sono dei giganti. Per noi, forse: ma per gli ominidi preistorici, bassi di statura, uomini alti un metro e ottanta possono davvero apparire giganteschi. La fantasia farà il resto.

        D’altronde, sappiamo come ingigantisce un pettegolezzo passando di bocca in bocca. Figuriamoci allora! Per di più è scientificamente provato che in un certo periodo della preistoria, vicino all’uomo di Neanderthal, basso di statura e d’aspetto vagamente scimmiesco, apparvero gli uomini di Cro-Magnon, così chiamati dalla località della Francia dove furono reperiti i loro scheletri, uomini dritti, alti un metro e ottanta, dalla struttura cranica simile alla nostra. Nessuno sa da dove provenissero, ma forse dall’unione dei Neanderthaliani con i Cro-Magnon nacque l’Homo Sapiens.

        Ma torniamo sul nostro ipotetico pianeta: per sondare i fondali marini s’immergono i sommozzatori. Noi li descriviamo dicendo ciò che sappiamo: uomini e donne in tenuta da sub con armi subacquee. Noi sappiamo che quegli uomini e quelle donne hanno i piedi come i nostri e che quelle pinne sono di gomma. Ma l’uomo primitivo che li osserva può riferire può riferire solo ciò che vede, perché non sa: e riferisce di esseri metà uomo e metà pesce che potrebbe anche chiamare Sirene e Tritoni, armati di tridente, l’arma tipica delle divinità marine.

        Ovviamente qui non si vogliono trarre conclusioni. Ma è indubbio che tutto ciò è molto strano.

        A questo proposito chiamiamo come testimone Omero; prima, però, dobbiamo chiederci se Omero sia un testimone attendibile.

        Fino al secolo scorso no: la scienza ufficiale lo riteneva soltanto uno straordinario narratore di favole. Si metteva in dubbio non solo che si fosse combattuta la guerra di Troia, ma addirittura che fosse esistita la stessa Troia. E anche se Troia fosse esistita, ipotizzavano gli archeologi più famosi, era impossibile che si fosse trovata dove diceva Omero. Ma Heinrich Schliemann, che non era uno scienziato, ma che era abbastanza ricco da finanziarsi da solo, partì alla ricerca di Troia basandosi soltanto sulle indicazioni di Omero: e non solo trovò Troia e il tesoro di Priamo ma scoprì anche che le mura mostravano tracce d’incendio. Quindi Omero è un testimone attendibile, non un fantasioso narratore di fiabe.

         Apriamo, quindi, l’Iliade al libro XVIII. La dea Tetide va dal dio Efesto (o Vulcano) per chiedergli di fabbricare le armi per suo figlio Achille.

Efesto, il dio dei fabbri, sta lavorando nella sua officina. Diamo la parola a Omero, nella tradizione di Vincenzo Monti: (Vv 509-514) “(Efesto) avea per mano dieci tripodi e dieci, adornamento di palagio regal: Supposte a tutti, d’oro avea le rotelle, onde ne gisse da sé ciascuno all’assemblea de’ numi e da sé ne tornasse onde si tolse”.

        Se dovessi tradurre questi versi in termini moderni, affermerei che Efesto stava costruendo dei carrelli telecomandati. Poi Efesto ritorna nella sua casa racconta ancora Omero: (Vv 504-505) “…stellati, eterni, rilucenti alberghi…dallo stesso Vulcan costrutti di massiccio bronzo”, ma siccome è zoppo, si fa sostenere : (Vv 572-581) “Seguian l’orrido rege e a manca il passo ne reggean forme e figure di vaghe ancelle, tutte d’oro, e a vive giovinette simili, entro il cui seno aveva messo il gran fabbro e voce e vita e vigor d’intelletto…e queste al fianco del dio spedite e snelle camminavano”. In termini moderni, il dio si avvia al proprio alloggio di lamiera come un prefabbricato, aiutato da una squadra di robots.

        Andiamo ora al canto V. C’è gran battaglia fra Greci e Troiani. La dea Afrodite (Venere) corre in aiuto del figlio Enea, ferito dal greco Diomede. Ma Diomede osa scagliare una lancia anche contro la dea, ferendola a una mano. (Vv 448-552) “Al colpo diede ella un forte grido e dalle braccia depose il figlio, a cui difesa Apollo corse tosto e l’ascose entro una nube”.

        Poco lontano anche Marte si è protetto con una nuvola. Nuvola o cortina fumogena? E una fucilata sparata fra uomini dell’età del bronzo avrebbe l’effetto deterrente di un fulmine: un fulmine di Zeus, forse? Io non lo so. Non formulo ipotesi né traggo conclusioni. Io affermo che, se è vero, come già affermavano i filosofi dell’antichità come Aristotele, che ogni leggenda nasconde un fondo di verità, sono molti gli interrogativi che tali leggende fanno sorgere, leggende che non si trovano in misteriosi testi indiani o in altrettanti misteriosi papiri egizi, ma che sono alla portata di tutti in qualsiasi libro di mitologia, reperibile in ogni biblioteca.

        Forse indagando a fondo sul nostro lontano passato, potremmo capire meglio il nostro presente. E trovare delle risposte.

 

   

Ares o Marte (Venere e Marte)