4 04 2009
di Carlo Alberto
Cossano ricercatore Narkas
http://www.oopart.it
La Storia-
Le rovine sommerse al largo di Cuba. Il 28 maggio
2002, in un articolo pubblicato online sul sito ufficiale del National
Geographic dal titolo “Nuove scoperte subacquee sollevano domande sui miti del
diluvio”, il reporter Brian Handwerk scrive che “…recenti ritrovamenti
subacquei potrebbero portare nuovi indizi allo studio di insediamenti umani che
giacciono sotto le onde…”; a cosa si stava riferendo?A quella che probabilmente
potremmo definire, senza paura di essere smentiti, la più grande scoperta
archeologica di inizio millennio.
“La città sommersa di Cuba”.
Handwerk descrive la scoperta ed il contesto: “Nel
profondo delle acque di Cabo de San Antonio, lontano dalle coste di Cuba,
ricercatori stanno esplorando formazioni insolite di lisci blocchi, pennacchi e
forme geometriche”. Seppur interessante, fin qui la notizia non sembra così
straordinaria; continuando nell’articolo però, si legge qualche cosa di
veramente sorprendente riguardante quelle formazioni insolite, soprattutto
perchè indicato da una fonte così allineata all’archeologia ufficiale come il
National Geographic: “Le strutture sono coperte da 600 a 750 metri di acqua”.
La posizione del sito (il quadrato indicato con la
scritta “Mega”) a nord della punta cubana di Capo Sant’Antonio
La storia di questo sorprendente ritrovamento ha
inizio nel luglio del 2000 quando i canadesi Paulina Zelitsky, ingegnere russa assegnata
allo spionaggio sottomarino durante la guerra fredda, e suo marito Paul
Weinzweig, ricercatori della “Advanced Digital Communications” (ADC) che ha
sedi in Canada ed a Cuba, a bordo del loro vascello di ricerca “Ulises”,
stavano esplorando i fondali al largo di Capo Sant’Antonio a nord ovest di Cuba
in cerca di relitti da recuperare, attività che li aveva già resi famosi (e
discretamente ricchi). Muniti, come è logico, di sofisticatissimi sistemi di
rilevamento e monitoraggio del fondale, incontrarono una strana ed ampia area
pressoché piana (pendenza massima = 6 gradi) di circa 20 chilometri di lato,
ricoperta da una spessa coltre di pura sabbia bianca, dal centro della quale
però qualcosa faceva “impazzire” il sonar; l’esperienza di Zelitsky e Weinzweig
sull’analisi di questi tracciati suggerì una conclusione veramente incredibile,
soprattutto ad una tale profondità: avevano localizzato strutture megalitiche,
apparentemente di pietra, dalle chiare forme geometriche di piramidi o
rettangoli, alcune organizzate simmetricamente e perfettamente allineate. E poi
strade, muri e costruzioni sviluppate come un centro urbano.
Alcune delle immagini sonar che hanno rivelato la presenza delle strutture
regolari.
Riprese e Campionamenti-
A seguito di un tale rilevamento, misterioso ma allo
stesso tempo intrigante, l’ovvio e legittimo obiettivo successivo sarebbe stato
quello di vedere con i propri occhi ciò che si trovava là sotto e,
possibilmente, prelevare dei campioni.
A questo scopo, nel luglio 2001, i coniugi esploratori
canadesi scelsero di avvalersi di un ROV (Remotely Operated Vehicle), un robot
teleguidato per esplorazioni ad elevate profondità in grado di riprendere
immagini e di raccogliere campioni di roccia dal fondale; oltre all’aiuto della
tecnologia, Zelitsky e Weinzweig decisero di farsi accompagnare anche da
esperti studiosi Cubani, tra i quali il dott. Manuel Iturralde, geologo
ricercatore del Museo di storia Naturale di Havana che manifestò sin
dall’inizio un profondo interesse verso le allora presunte rovine sommerse.
I risultati delle riprese furono ancora più esaltanti
dei rilevamenti sonar e confermarono le ipotesi più ardite avanzate sulle
caratteristiche delle strutture: le telecamere certificarono la presenza di
grossi blocchi di pietra alti fino ad oltre tre metri, alcuni rettangolari,
altri circolari, altri ancora piramidali; molti blocchi erano uno sopra
l’altro, altri isolati.
Alcune delle strutture riprese dal ROV
Ma le sorprese non erano ancora finite: osservando i
filmati, infatti, si notava che il colore bianco chiaro dei megaliti era in
netto contrasto con quello scuro delle rocce vulcaniche tipiche di quei
fondali, così come la loro superficie piana lo era rispetto a quella irregolare
delle rocce locali; questo fatto fece pensare alla possibilità remota che quei
megaliti fossero di granito, una pietra introvabile non solo sull’isola di Cuba
ma addirittura in tutta l’area della penisola dello Yucatan (luoghi in cui si
possono trovare per lo più rocce vulcaniche e calcaree), ma presente nella
parte centrale del Messico.
Confrontare le strutture fotografate dal ROV con le
caratteristiche delle rocce autoctone
Una volta analizzati i campioni prelevati dal fondale
e a conferma di quanto inizialmente si riteneva impossibile, si configurò una
clamorosa scoperta: non solo i campioni si rivelarono essere di granito puro e
completamente levigato ma, in certi casi, erano ricoperti da incrostazioni di
fossili organici che normalmente vivono vicino alla superficie. Come se non
bastassero questi elementi (propri delle strutture), ad infittire il mistero
contribuì anche l’area di 20 km quadrati attorno ai megaliti: si scoprì infatti
che questa era ricoperta da vetro vulcanico, il quale “può essere generato
esclusivamente su una superficie ossigenata”, come ammise Iturralde.
Opinione
Geologica-
“Sono strutture veramente uniche. Non sono facili da
comprendere e non ho per loro alcuna semplice spiegazione in un processo
geologico naturale”. Questa è la frase che forse più di tutte chiarisce
l’opinione di Iturralde in merito alle strutture sommerse di Cuba.
Dopo le analisi dei campioni e delle immagini relative
alle spedizioni del 2001, Iturralde conferma che quelle strutture erano
sicuramente fuori dell’acqua in passato e che, non essendoci spiegazioni
geologiche diverse in merito alla loro composizione, forma e
disposizione, potrebbero essere state perlomeno modificate da un
intervento umano.
A questo punto, l’unico appiglio tangibile a cui un
geologo con dottorato di ricerca può “aggrapparsi” per dare una spiegazione al
misterioso ritrovamento è il “fattore tempo”, che come ben sappiamo, è spesso
l’unica “ancora di salvezza” che rimane a certi studiosi per tentare di non
andare alla deriva tra le onde dei misteri dell’esistenza umana e di ciò che la
circonda. Il fenomeno della subsidenza, ovvero il movimento (in questo caso di
sprofondamento) delle placche tettoniche, avrebbe lentamente fatto sprofondare
l’area di 20 chilometri di lato che ospita i monumenti megalitici fino a
portare il tutto a 700 metri sotto l’oceano. Oltre però a chiederci come mai la
zona non si sia nemmeno leggermente deformata o danneggiata a causa di questo
cataclismico movimento, sorge spontanea la domanda: ma in quanto tempo è
avvenuto questo ipotetico sprofondamento? “Più o meno, il fondale oceanico può
sprofondare velocemente al ritmo di 16 millimetri l’anno” conferma il dott.
Iturralde.
Velocemente al ritmo di 16 millimetri l’anno? Quindi,
se la matematica non è un’opinione, al ritmo di subsidenza più veloce mai
misurato, il sito si sarebbe trovato fuori dell’acqua all’incirca 50.000 anni
fa! In certi casi, rifiutando le spiegazioni più semplici, si finisce con il
complicarsi la vita. L’archeologia ufficiale infatti si rifiuta di dover
rivedere la teoria secondo la quale, nel bel mezzo del paleolitico medio,
l’homo sapiens “neandertaliano” aveva da poco incominciato ad effettuare le
prime sepolture e ad insediarsi in ambienti ostili; figuriamoci accettare
l’esistenza di esseri in grado di costruire templi megalitici di granito dalle
forme geometriche a migliaia di chilometri di distanza dal germanico cugino
neandertaliano! Michael Faught, professore di antropologia all’università
statale della Florida e specialista in archeologia sottomarina, in relazione a
questo ritrovamento afferma che “…sarebbe veramente avanzato per qualunque cosa
osservabile nel nuovo mondo. Le strutture sono fuori dal tempo a dallo spazio”.
Quindi, piuttosto di considerare l’ipotesi che le rovine siano state
effettivamente sommerse dall’acqua nell’esatto punto in cui si trovano e che
quindi in un tempo non troppo lontano il livello del mare era di circa 700
metri più basso di quello odierno, si nega l’evidenza dei fatti “misurando” la
possibile età del monumento tramite l’unico “metro” accettato dalla geologia,
che però si rivela palesemente non adatto.
Una spettacolare elaborazione 3D del fondale attorno
al sito (identificato con il nome “Mega”): Iturralde conferma che le
“…strutture non sono associate a faglie, fratture o rotture del versante
[oceanico]”
Sulle pagine internet ufficiali relative alle sue
ricerche sulle rovine sommerse di Cuba, Iturralde considera le tre seguenti
ipotesi relative all’origine di tali strutture:
1)
origine naturale
2)
create da esseri intelligenti
3)
strutture naturali trasformate da esseri intelligenti
Relativamente alla prima ipotesi però, è costretto ad
ammettere che “…i dati ottenuti non supportano completamente…” questa versione,
che comunque “…non dovrebbe essere scartata, perché Madre Natura è in grado di
creare strutture inimmaginabili…”.
Una frase che non denota certo il più scientifico
degli approcci.
Per quanto riguarda le altre due ipotesi, gli ostacoli
principali sono l’età presunta del sito di 50.000 anni e il fatto che l’ipotesi
di un intervento umano, “…indipendentemente da quanto attrattiva ed
affascinante possa essere…non dovrebbe essere accettata finché non avremo
dirette evidenze dell’azione di esseri intelligenti…”.
Dirette evidenze? Sono state trovate?
Iscrizioni-
Le evidenze dirette che forse mancavano ad Iturralde
ed al gruppo di ricercatori e studiosi cubani non tardarono a venire fuori. In
un’intervista della famosa giornalista Linda Moulton-Howe apparsa sul suo sito
www.earthfiles.com, i coniugi Paul Weinzweig e Paulina Zelitsky in persona
rivelano un ulteriore sviluppo delle ricerche con i ROV che mette
definitivamente una “croce” sull’ipotesi dell’origine naturale delle strutture:
un video che riporta chiaramente, nonostante la fitta presenza di detriti e
plankton, la presenza di iscrizioni sui megaliti in diversi punti. Queste
rivelano, in certi casi, caratteristiche comuni e simili a quelle rinvenute
nelle miniere cubane e nei siti messicani, come i simboli della croce
centro-americana (una sorta di croce formata da due ellissi sottili); in altri
casi, similitudini con la simbologia piramidale e geroglifica sudamericana,
rivelando quindi un ovvia continuità sia dal punto di vista geografico che da
quello socio-culturale con le vicine civiltà centro e sud americane, sebbene
possedendo caratteristiche che le fanno supporre essere più antiche (come se
fossero state incise da individui precursori di quelle civiltà).
Al momento dell’intervista (metà del 2001), le
iscrizioni erano in corso di studio da parte del dott. Gabrino la Rosa;
purtroppo non è più stato possibile reperire informazioni e pareri scientifici
su questa scoperta.
Conclusioni-
Al di fuori di qualche sporadico servizio televisivo
(alcuni dei quali accusati addirittura di utilizzare immagini di repertorio invece
di quelle originali), inspiegabilmente le strutture sommerse di Cuba sono
risultate sconosciute alla stragrande maggioranza degli ambienti scientifici e
culturali, nonché alla gente comune (in Italia un notiziario di “Rete 4” ha
trasmesso in breve la notizia il 19 dicembre 2001 ma praticamente nessuno se ne
ricorda).
Evidentemente, chi è a conoscenza dei fatti e degli
ultimi sviluppi della vicenda, o non ha i mezzi per divulgare una tale scoperta
(cosa che succede molto spesso) o aspetta ulteriori conferme (manifestando
forse uno scetticismo eccessivo), conferme che però risultano purtroppo sempre
più difficili da reperire anche, ma non solo, a causa dell’elevato costo delle
missioni esplorative e dei i noti problemi politici con il governo cubano.
Questa posizione di stallo sembrerebbe essersi
sbloccata al termine del 2004 quando il giornale messicano “Milenio”, nel
numero del 6 novembre 2004, pubblicò una notizia che agli occhi di un normale
lettore poteva apparire come la solita news dal mondo dell’archeologia. La
notizia diceva che, in data 7 ottobre 2004, un gruppo internazionale di
archeologi era partito dal Messico con una nave adeguatamente equipaggiata per
continuare le ricerche di una città sommersa al largo di Cuba.
Dopo 25 giorni di lavoro, interrotti per problemi
tecnici dovuti alla visibilità sei volte più bassa del previsto, il team di
scienziati aveva fatto ritorno con un ‘bottino’ molto interessante: precise
risonanze del sonar che rilevano una struttura piramidale di 35 metri e, grazie
all’utilizzo di un mini-sottomarino chiamato “Deep Worker”, fotografie della
struttura scattate “…dalla distanza variabile tra l’uno e i tre metri, non
riuscendo a farlo in modo che venisse resa correttamente la prospettiva delle
strutture scoperte…”. Non solo risonanze e foto, ma anche pezzi di roccia con
fossili di piccoli animali da superficie e resti di polveri vulcaniche (anche
queste che si formano solo in superficie). Neanche a dirlo, la National
Geographic Society si è già “assicurata” un esclusivo articolo con la Zelitsky.
Tenendo conto anche di questi ultimi sviluppi della
vicenda, quindi, un’analisi obiettiva di tutti i fatti e di tutta la
documentazione finora pubblicata non può che portare alle seguenti conclusioni:
1) le strutture sono opera dell’uomo, data la loro
complessità, la loro dimensione, il tipo di materiale (granito), la presenza di
iscrizioni, di fossili organici e le caratteristiche del sito che le ospita
(ottimale per edificare monumenti)
2) le caratteristiche di continuità delle strutture,
delle iscrizioni nel contesto geografico, urbanistico e socio-culturale con le
civiltà centro e sud americane indicano che al tempo della nascita di quelle
civiltà, o perlomeno al tempo dei primi insediamenti che le originarono, la
zona era fuori dall’acqua come lo era il Sud America, il Messico e la penisola
dello Yucatan e quindi, su scala globale, il livello del mare era molto più
basso di quello attuale
Nessun fenomeno di subsidenza (che peraltro sarebbe
risultato distruttivo ed avrebbe con tutta probabilità cancellato ogni traccia
delle strutture) avrebbe potuto far scendere l’area a quelle profondità.
Perché, allora, tutta quell’acqua ad occultare nel profondo del mare il bianco
granito delle rovine? Potrebbero esserci collegamenti con le innumerevoli
leggende relative al biblico Diluvio Universale che sconvolse il nostro pianeta
diverse migliaia di anni fa?
Una cosa è certa: le peculiarità di questo
affascinante mistero, nonché le forti contraddizioni da esse derivanti,
difficilmente consentiranno una soluzione dell’enigma attraverso i consueti
ricorsi ad ipotetiche cause naturali verificatesi nel lontanissimo
passato, che troppo spesso vengono semplicisticamente invocate e da tutti
accolte quasi con fede cieca.
Senza voler entrare nel campo della teologia,
dell’esegesi biblica o della filosofia, quindi, non è certo da visionari,
mitomani o irragionevoli ammettere che le rovine sommerse di Cuba abbiano
potenzialità che potrebbero obbligare a riscrivere la storia delle civiltà
dell’uomo, se non addirittura contribuire a chiarire i misteri concernenti la
sua origine. Per concludere, vorrei riportare quello che Robert Jastrow ebbe a
scrivere perché particolarmente calzante a conclusione delle considerazioni
fatte finora, ovvero che “…per lo scienziato che ha vissuto fidando nel potere
della ragione, la storia finisce come un incubo. Egli ha scalato le montagne
dell’ignoranza; è giunto al punto di conquistare il picco più alto quando, nel
raggiungere l’ultima roccia, viene salutato da un gruppo di teologi che si
trovavano lì seduti ormai da secoli”.
Fonti: nationalgeographic.com – cuba.cu
Intervista a Carlo Alberto Cossano
ricercatore Narkas
Prima di tutto ti ringraziamo per averci concesso
quest’intervista. Iniziamo subito col chiederti se ci puoi anticipare
qualcosa di nuovo sull’evoluzione delle ricerche sul Mega?
C. A. Cossano: Certamente, anche se purtroppo non sono
‘buone nuove’..
Sintetizzando, come spesso accade quando ci si muove negli ambiti della ricerca
non ‘mainstream’, anche in questo caso il venale denaro ha contribuito a
collassare il progetto. Sembra che le offerte per il materiale in possesso
della ADC relativamente alla questione siano state talmente basse da
scoraggiare l’impresa di pubblicare libri o articoli sul ritrovamento: dall’altra
parte, i fondi a budget per il progetto in possesso della stessa ADC non
consentivano più ulteriori spedizioni e si è venuta a creare una situazione di
stallo completo. Secondo le mie fonti, il National Geographic era veramente
stato coinvolto nella cosa, ma proprio il suo rifiuto sembra aver affossato le
speranze di ottenere fondi sufficienti e quelli offerti non sono apparsi come
allettanti (o sufficienti): questo non significa che il valore del ritrovamento
sia stato messo in dubbio ma che il business ottenibile per ‘far girare la
ruota’ non era evidentemente sufficiente.
Sembra comunque che ci siano in programma spedizioni in altre aree costiere di
Cuba per proseguire le ricerche ma non più condotte direttamente dalla ADC. Riusciremo
mai a scoprire cosa rimane sotto 700 metri d’acqua a quelle coordinate
segrete? Lo spero proprio..
Vi informerò sui futuri sviluppi.
Quando si parla delle possibili ubicazioni di
Atlantide il Mega viene citato fra queste, ci sono delle analogie fra il Mega e
la rappresentazione platonica di Atlantide?
C. A. Cossano: In base ai ritrovamenti, le analogie
sono ben poche. Forse è la dimensione a permettere di includere il MEGA tra
queste possibili ubicazioni, ma è anche proprio questa dimensione a renderlo
così ancora inesplorate e quindi misterioso..
Quali sono i principali legami fra le popolazioni
native sud americane e il sito Mega?
C. A. Cossano: Finora solo quelle che sono state
interpretate come iscrizioni: purtroppo, però, sono state viste solo dai membri
dell’equipaggio della nave esplorativa dell’ADC, quindi non ci sono reali prove
al riguardo, perlomeno non se ne conoscono; so che erano stati fatti diversi
tentativi di asportarle o di ritrovare campionamenti che le esponessero ma, che
io sappia, senza risultati.
Vista la profondità del sito 6/700 metri, si possono
utilizzare solo strumenti costosi e sofisticati come il Rov, a quali altre
indagini scientifiche e tecnologiche può essere sottoposto il sito?
C. A. Cossano: Potendo disporre dei fondi adeguati ci sono
diverse possibilità ma richiedono tutte un intervento tramite veicoli di
esplorazione sottomarina; l’ideale sarebbe costruire direttamente in loco un
laboratorio per alta profondità, che potrebbe sicuramente fornire un adeguato
supporto in particolare per gli studi geologici. Comunque, anche solo
utilizzado veicoli teleguidati e sottomarini si riuscirebbe a svelare la
maggior parte dei segreti delle rovine.. Basterebbe una attrezzatura stile
Cameron usate per “Titanic” (bella forza, direte): guardandone le scene e la
qualità delle immagini riprodotte da un fondale di oltre 4000 metri capite bene
che 700 sarebbero un inezia..
Attualmente è molto diffusa la ricostruzione
architettonica digitale di siti archeologici, pensi che la realtà virtuale
possa aiutare in questo senso?
C. A. Cossano: Si, certo, lo dici ad un informatico.. Comunque,
per fare ciò sono necessari precisi rilevamenti che vanno anch’essi fatti con
attrezzature idonee (e costose)..
E’ possibile che lo sprofondamento della zona sia
avvenuto in un arco temporale più breve rispetto ai 50.000 anni indicati con
una media di 16 mm l’anno?
C. A. Cossano: Ho dedicato mesi ad approfondire questo
aspetto particolare: per aree di quella composizione, dimensione e attuale
struttura la geologia non può che documentare una velocità di 16 mm l’anno.
Ricordiamoci che non ci stiamo riferendo ad un’area vulcanica..
L’ipotesi del diluvio sposata con l’unione fra mar
Nero e Mar Mediterraneo provocando un innalzamento delle acque sembra essere
stata dimostrata, ciò però non giustifica uno sprofondamento di 700 metri,
pensi possa essere possibile che l’allontanamento delle zolle tettoniche dei
continenti abbia potuto provocare questo?
C. A. Cossano: vi assicuro che l’ipotesi indicata è
ben lungi dall’essere dimostrata; comunque, i volumi di acqua in ballo per
spiegare il MEGA non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli calcolati
per l’ipotesi Mar Nero.
Sotto questo punto di vista quale datazione potrebbe
essere data al sito?
C. A. Cossano: Bella domanda.. Se si data con la
geologia si torna esageratamente indietro, se lo si fa con l’antropologia
succede l’opposto..Stiamo parlando di un bel grattacapo. Io un’idea c’è l’ho ma
non conta: preferisco sentire le vostre..
Esistono nel
mondo tracce di civiltà simili a quelle del Mega?
C. A.
Cossano: Ci sono semplicemente delle connessioni con quelle della zona Yucatan,
ma parliamo di connessioni grafologiche e architettoniche, quindi molto
relative..
La situazione economica e politica dell’area Cubana
non è certo delle più rosee, nonostante la palese dimostrazione di una scoperta
che riscrive la storia, la mancanza di fondi limita le ricerche, quale è a tuo
modo di vedere il futuro del sito Mega?
C. A. Cossano: Un futuro plumbeo, purtroppo..Come già
esposto aggiornandovi sugli ultimi sviluppi, viviamo in un mondo in cui il
denaro muove quasi tutto: soprattutto in relazione agli ultimi sviluppi
socio-economici e con l’inevitabile distanza presa dall’ortodossia scientifica
credo che le coordinate del MEGA finiranno in un ipotetico cassetto, senza la
possibilità di uscirne. Credo però fermamente che sono orami molte le evidenze
che fanno pensare che il MEGA possa non essere il solo enigma con quelle
caratteristiche così uniche: come detto, qualcuno sta già cercando di
organizzare altre spedizioni, sempre nei dintorni dell’isola Cubana..
Ci aspetta un MEGA2 o un MEGA3? Spero vivamente di essere tra i primi a
saperlo!