Una prova d’amicizia.

 

È ora tarda quando uno stridio di freni rompe il silenzio di una tranquilla notte di fine estate. L’auto che sbanda finisce la sua folle corsa contro il muro di cinta di una vecchia casa rurale. Un brutto incidente, un impatto terribile.

Qualcuno accorre. Dentro a ciò che rimane dell’auto si intravedono due corpi inermi. Arrivano le forze dell’ordine e l’ambulanza, intervengono i vigili del fuoco che a fatica si fanno largo tra le lamiere contorte. Uno dei due ragazzi viene estratto privo di vita, l’altro in condizioni disperate. Una corsa a sirene spiegate verso l’ospedale e lì viene operato d’urgenza. È in coma. Dopo lunghi giorni di sala rianimazione il giovane esce dal coma, ma le sue condizioni restano critiche. Quelli che seguono sono mesi di riabilitazione ma il suo stato fisico sembra irrimediabilmente compromesso. Ha bisogno di assistenza continua, di cure meticolose e di intense terapie. È costretto su una sedia a rotelle, l’uso delle gambe è limitato e doloroso, la colonna vertebrale è lesa ed è aiutato da un busto di sostegno. Momenti di lucidità trovano spazio tra stati di depressione e di confusione mentale.

È una mattina come tante quando la madre, come da consuetudine, si reca nella stanza del figlio per le prime cure, ma con stupore si accorge che il letto è vuoto, le coperte ripiegate per bene e la sedia a rotelle appoggiata ad una parete.

Rimane immobile, porta le mani al viso e cerca la risposta ad un fatto impossibile. Il tempo di riprendersi e corre d’istinto verso la cucina. Rimane allibita quando vede il figlio seduto su una sedia accanto alla tavola da pranzo. È vestito elegantemente, indossa giacca e cravatta e calza le scarpe che dal momento dell’incidente non aveva più messo a causa degli atroci dolori che queste causavano ai suoi piedi. Stupore, meraviglia, incredulità e persino paura, un groviglio di sentimenti che non lasciavano tanto spazio alla razionalità.
“Come hai fatto?”, chiese con un filo di voce e un nodo alla gola. Il figlio, con lo sguardo perso nel vuoto, non rispose. Qualche attimo di irreale silenzio, poi di nuovo: “Allora, come hai fatto?”
Questa volta il figlio, girandosi verso di lei, rispose: “Non lo so”.
“ Chi è venuto…..? È venuto qualcuno ad aiutarti?”, aggiunse lei, ben sapendo che questo non era possibile. Nessun altro abitava nella casa e nessun altro aveva le chiavi per potervi entrare.
“Non lo so, non mi ricordo niente” rispose lui. Poi tolse lo sguardo dalla madre per rimandarlo nel vuoto, a perdersi in quel limbo impenetrabile dove nessuno lo poteva seguire.
In seguito alla vicenda, la madre si lasciò andare a quella che è la sua verità. Lei è fermamente convinta che quanto è successo sia stato possibile solo grazie all’opera dell’amico morto in quel tragico incidente e del quale sente spesso la presenza dentro casa. Una presenza percettibile, quasi palpabile, vestita di profumo, di quel profumo che era solito mettere quando uscivano insieme. Una presenza continua al fianco di quello che era il suo migliore amico e questo, per lei, sarebbe stato il modo più convincente che aveva per poterlo dimostrare.
Certo non è semplice accettare quanto afferma, ma è già il fatto stesso che è difficile da comprendere. D’altra parte, davanti alle inequivocabili percezioni, alla convinzione e all’evidenza dei fatti, potrebbe essere l’unica risposta plausibile.
Sono convinto che quanto dice la madre sia comunque corretto e sono anche convinto dell’effettiva presenza dell’amico in quella casa. Ma un interrogativo mi nasce spontaneo: è stata un’azione fisica come sostiene con forza la madre a permettere tutto ciò, oppure la forza di volontà della sua mente, sollecitata o stimolata dall’amico?

Sono dell’opinione che se ciò è potuto accadere è stato sì possibile, ma solo per un intervento a livello mentale. Lei è fermamente convinta che l’amico sia intervenuto in modo fisico, aiutandolo ad alzarsi dal letto con forza, a ricomporre le lenzuola, a vestirlo e ad accompagnarlo in cucina, dove poi lo avrebbe fatto accomodare, seduto accanto al tavolo. Io ritengo che sia stata la sua mente ad essere influenzata dall’insolita presenza. Quello che intendo dire è che il tutto è potuto succedere in un particolare momento, quando la sua mente ha avuto possibilità percettive in grado di raccogliere “il messaggio”, permettendogli così di eludere l’enorme quantità di blocchi che lo opprimono, superandoli con determinazione, ignorando il dolore e i limiti che lo affliggono. Per un attimo è uscito dal recinto nel quale è rinchiuso, per un attimo la sua mente ha ripreso il controllo sul suo corpo permettendogli così di aggirare tutti gli ostacoli che lo condizionano. Solo in questo modo, a mio avviso, si può spiegare il fatto, anche se comunque resta un evento che ha dell’incredibile.

 

 

Da quel giorno, le condizioni fisiche del giovane si sono ulteriormente aggravate e la signora si è chiusa in prolungato e ostinato silenzio. Raramente ormai parla del figlio mentre si rifiuta di ritornare sull’accaduto come nulla fosse mai successo.

Penso a lei, a quando lo ha trovato ben vestito e seduto in cucina, senza busto e senza l’immancabile sedia a rotelle. Penso a lei e a quella inattesa visione di un figlio ritrovato e graziato, il tutto accaduto nel breve tempo di un sospiro.

La vedo ora, delusa e affranta, ormai rassegnata ad accettare una situazione che va peggiorando di giorno in giorno e che solo l’amore di una madre nei confronti di un figlio può ancora sostenere.

 

Una prova d’amicizia ma con un prezzo da pagare, un prezzo forse troppo alto per il cuore di una mamma.

 

 

Per esplicita richiesta della signora, ho dovuto omettere i nomi, i luoghi e le date inerenti al fatto, ma ho voluto riportare il caso perché certi eventi che accadono intorno a noi, meritano attenzione e una doverosa riflessione, anche se poi, non potranno mai essere spiegati se non con tentate supposizioni.

 

 

                                                                                                                Dino Colognesi