Dino Colognesi
Nel mese di giugno 2003 un gruppo di amici di Badia Polesine (RO), i fratelli Davide e Daniele Magnavacca, Roberto Bernin, Nicola Guerra e Davide B. decisero di trascorrere una giornata a Livigno, cittadina turistica situata tra le Alpi ai confini con la Svizzera. Per raggiungere la meta prefissata partirono alle prime ore del mattino di Domenica 1 giugno ma il caso volle che per una indicazione, che risulterà poi sbagliata, si trovarono ad imboccare la strada che porta al passo di Gàvia a quota 2620 metri, peraltro ancora chiusa al traffico dopo il periodo invernale. Giunti ad una certa quota la strada diventava ormai impraticabile per i detriti, i blocchi di ghiaccio e i massi che ostruivano il passaggio e furono obbligati a fermarsi in prossimità di una grotta dove si era formata una enorme lastra di ghiaccio. Dovevano quindi tornare indietro ma bisognava trovare il modo di girare la macchina, manovra resa difficile in quanto la stretta via era chiusa tra un costone di roccia innevata da una parte e da un pericoloso precipizio dall’altra. Scesero dalla macchina per sgranchirsi le gambe e prendere una decisione quando un’enorme impronta impressa nella neve sul costone che fiancheggia la strada attirò l’attenzione di Roberto, il quale incuriosito dall’anomalia chiamò gli amici per verificare il caso. Roberto si tolse addirittura una scarpa ed il calzino per comparare la misura del suo piede con l’orma rinvenuta sulla neve mentre Daniele, munito di videocamera, riprendeva la scena.
Purtroppo fui contattato dal gruppo solo quando erano ormai scesi a valle e nessuno di loro pensò di dare un’occhiata in giro per capire se ve ne fossero altre nei dintorni, anche se Daniele afferma che aveva avuto l’impressione che nella parte alta del costone ve ne fossero delle altre. Trovare il modo di girare la macchina e ripercorrere quel tratto di strada scivolosa e pericolosa era diventato il problema più grande e non lasciava certo spazio ad altri pensieri.
Qualche sera dopo ci incontrammo e mi raccontarono la loro esperienza consegnandomi anche il filmato dell’impronta. Dalle prime analisi il filmato mostra un’impronta di grandi dimensioni, che somiglierebbe molto ad un’altra rinvenuta anni fa sulle rive del Canal Bianco e di cui il calco in gesso si trova presso la sede dell’USAC. Il filmato verrà presto analizzato con adeguate procedure computerizzate.
Evidentemente i mesi caldi portano bene al ritrovamento di impronte anomale. Nel mese di agosto del 1998 con mia moglie Silvana e gli amici Lorena e Michele ci eravamo recati a Campogrosso, altopiano situato a quota 1800 metri circa sopra la stazione termale di Recoaro Terme e ci inoltrammo in un bosco poco o per niente frequentato, in quanto nulla faceva pensare al passaggio di visitatori. Il tratto accessibile era ancora umido per la pioggia caduta nei giorni precedenti e il fogliame copriva solo parzialmente il sentiero. Grazie a questo notai sul terreno delle impronte che catturarono la mia attenzione in quanto risultavano strane anche se non ben definite perché erano sovrapposte e con l’ausilio di una macchina fotografica, purtroppo senza le caratteristiche idonee al caso, scattai qualche foto. Le impronte erano molto profonde, lunghe undici o dodici centimetri e larghe otto o nove. Con l’aiuto degli amici cercammo nei dintorni altre impronte, che magari potessero darci indicazioni più precise, e poco lontano ne scorgemmo una bella, pulita nel contorno, che confermava quello che proponevano le precedenti, solo che in questa erano ben visibili le tre dita.
Ve ne erano altre nei dintorni ma meno evidenti per la presenza di fogliame ed erbacce. Ci inoltrammo oltre in quanto il luogo ci incuriosiva e comunque avevamo la netta sensazione che qualcuno dalla parte alta tra le rocce e la fitta boscaglia ci stesse osservando e seguendo e che poteva essere confermato dai fruscii e dai rami che di tanto in tanto si spezzavano sotto il peso di qualche cosa. Dopo qualche centinaio di metri giungemmo ad una sorgente d’acqua dove nei dintorni si trovavano diverse altre impronte ma che nessuna di queste era riconducibile a quelle precedenti. Decidemmo di lasciare il luogo anche perché cominciava ad imbrunire ma con la promessa che saremmo tornati l’anno successivo più o meno lo stesso periodo.
Infatti nell’agosto del 1999 tornammo sul posto e ci inoltrammo nel solito bosco fino a raggiungere più o meno lo stesso punto dell’anno precedente e lì, senza tanto cercare, ritrovammo le impronte, solo che, ironia della sorte, la macchina fotografica e il materiale per rilevare le impronte, preparati per l’occasione, erano nel baule della mia auto rimasta a casa.
Le impronte erano ancora più profonde e ben più grandi di quelle trovate l’anno prima e raggiungevano tranquillamente i venti centimetri di lunghezza. Certo che se le impronte appartenevano allo stesso essere, come del resto sono convinto, in un anno ha fatto un incredibile sviluppo. Inutile dire la delusione per l’occasione mancata anche perché nei mesi a seguire nessuno di noi avrebbe trovato il modo di tornare in quel posto. Nell’agosto del 2000 mi preparai per tempo e con mia moglie, con due amici di Recoaro, Marta e Sergio, contattati per l’occasione e con tutto l’occorrente tornammo nel bosco.
Abbiamo cercato per parecchie ore in quell’area ma il fogliame caduto, i rami e le sterpaglie avevano vanificato le nostre ricerche in quanto ormai impedivano di rilevare qualsiasi orma.
Abbiamo inoltre notato che nei pressi della fonte d’acqua, dove il terreno libero da foglie e sempre inumidito dall’acqua della stessa fonte, le impronte erano molto meno numerose dei due anni precedenti.
Dino Colognesi