L’UFO CRASH SUDAFRICANO DEL 1989

Falsi documenti che descrivono un evento reale?

(Giacomo Casale)



Il settore dell’Ufologia dedicato allo studio degli UFO crash (con tale termine ci si riferisce agli UFO precipitati al suolo a seguito di malfunzionamento o abbattimento da parte dei militari) è senza alcun dubbio quello che affascina di più il pubblico.

Il più famoso e documentato di questi incidenti resta quello di Roswell, avvenuto nel luglio del 1947, ma la lista dei presunti UFO crash è molto lunga.

Il pioniere di tali studi è stato il compianto ricercatore Leonard Stringfield, ex-funzionario dei servizi segreti dell'USAF il quale scrisse diversi volumi sull’argomento.

Un libro interessante, dedicato alla casistica degli UFO crash, è senz’altro Majic Eyes Only di Ryan Wood, uno dei curatori del sito dedicato ai famigerati documenti Majestic-12.

Il volume, sfortunatamente non tradotto in Italia, analizza ben 74 casi di UFO crashes, dal 1897 ad oggi.


Foto 1. Majic Eyes Only di Ryan Wood Foto 2. Ryan Wood


Tra i casi più interessanti (e controversi), di UFO crash vi è quello presumibilmente avvenuto nel deserto del Kalahari, in Sud Africa, nel 1989.

Verso la fine di quell’anno, una serie di presunti documenti “ufficiali”, rilasciati dall’aviazione sudafricana, venne messa a disposizione di alcune ricercatori inglesi. Essi facevano riferimento ad un UFO crash, presumibilmente avvenuto nei pressi del confine tra Sud Africa e Botswana.

Il primo di tali documenti riportava quanto segue: il 7 maggio 1989, alle ore 13.45, la fregata della Marina sudafricana Tafelberg comunicò via radio al proprio Quartier Generale di Città del Capo che un oggetto volante non identificato era stato inquadrato dal radar di bordo.

Esso era diretto verso il continente africano. Alle ore 13.52 l’oggetto era penetrato nello spazio aereo sudafricano. Non essendo stato possibile entrare in contatto radio con l’intruso, vennero fatti alzare in volo due caccia Mirage F11G, che si diressero verso la sua rotta.

Alle ore 13.59, il caposquadra, Goosen, non avendo potuto stabilire alcun contatto con l’UFO, aprì il fuoco con il proprio cannone laser Thor 2, colpendolo.

Dopo aver emesso parecchi lampi accecanti, l’oggetto precipitò alla velocità di circa 3000 piedi al minuto, schiantandosi, con un angolo di 25 gradi, su un’area desertica situata a 80km al nord del confine fra Sud Africa e Botswana.

Il caposquadra Goosen ricevette l’ordine di sorvolare in circolo la zona, fino a quando l’oggetto non fosse stato recuperato. L’impatto dell’UFO con il terreno aveva prodotto un cratere del diametro di circa 150 metri, e della profondità di 12. L’oggetto, di color argento, si trovava ora conficcato nel cratere, con un angolo di 45 gradi. I Frammenti di roccia e i cumuli di sabbia adiacenti all’oggetto erano stati fusi dal forte calore sprigionato dall’interno; inoltre un potente campo magnetico radioattivo gravava sull’area attorno all’oggetto, interferendo con le apparecchiature elettroniche degli aerei. I militari sudafricani si calarono nel cratere. L’ordigno non venne al momento identificato, e se ne sospettò subito la provenienza extraterrestre. La sua fiancata mostrava un curioso disegno, molto simile a quello dell’UFO avvistato nel 1964 a Socorro, New Messico, dal poliziotto Lonnie Zamora.

Il disco misurava circa 20 yards di lunghezza (circa 18 metri – N.d.A.) per nove e mezzo di altezza con un peso stimato attorno alle 50 tonnellate.


Foto 3. Ricostruzione di un alieno esposta al Roswell Museum


La superficie esterna presentava un aspetto levigato, simile all’argento, ed era priva di punti di connessione visibili. Vi erano infine 12 oblò ovali, irregolarmente distribuiti .

L’UFO fu trasportato alla base dell’Air Force ove vennero iniziate le analisi. All’improvviso si udì un forte rumore risuonare dall’interno e i tecnici notarono che un portello si era leggermente aperto. Esercitata una certa pressione, esso venne spalancato, rivelando la presenza di due umanoidi, vestiti con uniformi grigie. La loro statura era di circa quattro piedi e mezzo (1.20 cm. Circa – N.d.A.).La pelle era di colore grigio bluastro; erano sprovvisti di capelli e la testa appariva sproporzionata rispetto al corpo. Gli occhi erano grandi, sviluppati verso l’alto e apparentemente privi di pupille; il naso era quasi assente, al suo posto solo due piccoli fori, e la bocca era una semplice fessura. Le mani erano provviste di tre dita palmate e terminanti in unghie ad artiglio. Non erano visibili organi sessuali esterni. A causa di una reazione aggressiva manifestata dalle entità catturate, non fu possibile estrarre loro campioni di sangue. Le creature, inoltre, rifiutarono qualsiasi tipo di cibo. Non fu possibile instaurare nessuna comunicazione verbale.

IL 23 giugno 1989, I sudafricani inviarono gli umanoidi alla base di Wright Patterson, negli USA.



Foto 4. Una delle pagine dei documenti sudafricani


Questa è la storia contenuta nel rapporto dell’Intelligence sudafricana..

Esaminiamo ora in dettaglio i presunti documenti. Il frontespizio del documento in questione reca l’emblema del Castello e quello del volatile ad ali distese della SAAF. Vi si legge inoltre quanto segue: “questo file è stato classificato dal D.A.F.I. Le informazioni in esso contenute non devono essere divulgate. Top Secret”. Il documento è siglato dal numero 7830-18-414-1249 DD 2707.

L’emblema ricompare nella prima pagina, accompagnato da una serie di sigle, come quella del Dipartimento Investigazioni e Ricerche Speciali (DSIR) e quella del Dipartimento di Intelligence dell’Air Force Sudafricana (DAFI). La data riporta Valhalla (AFB) Air Force Base, Pretoria. Il canale designato è siglato con Red/Top Secret, ed il codice di priorità è D4. Più in basso è riportata la dicitura “Codice di Accesso al Computer del Sistema Difensivo: Procedere con attenzione”. Il file, costituito da 5 pagine, copertina inclusa, così ripercorre gli eventi. Grossi elicotteri finalizzati al recupero, furono presumibilmente spediti sul luogo del crash; il primo a giungere sul posto, mentre stava sorvolando l’UFO ad un’altezza di 500 piedi, subì improvvisamente un arresto al motore e precipitò. 5 membri dell’equipaggio morirono. Si apprese in seguito che i velivoli, avvicinandosi all’oggetto, entravano in avaria a causa dell’intenso campo elettromagnetico emanante dall’UFO. In un secondo tempo si ricorse ad un prodotto simile alla vernice che, passato sulla superficie dell’oggetto, pareva neutralizzare il campo magnetico.

L’UFO venne trasferito e collocato al sesto livello sotterraneo di una base dell’Air Force.



Foto 5. UFO crash in una rappresentazione pittorica


L’oggetto appariva ancora completamente intatto. Arrivò allora sul posto un team americano, probabilmente proveniente da Wright Patterson. Mentre la squadra di recupero e gli scienziati stavano sprecandosi in congetture sull’oggetto, la loro attenzione venne colta da un rumore proveniente da un punto sul fianco del disco, dove gli esperti notarono la presenza di una piccola apertura, che dava verso un piccolo passaggio. Si tentò a più riprese di forzarla ma inutilmente, pertanto alla fine venne impiegato un congegno di pressione idraulica, che permise di aprire completamente la portiera, attraverso cui due piccole entità aliene uscirono barcollando, le quali furono immediatamente prese in consegna dal personale della sicurezza.

Venne subito istituita un’equipe medica, in quanto una delle piccole entità pareva seriamente ferita. Tuttavia, lo staff medico si tirò indietro non appena vide un proprio collega aggredito da uno degli alieni, che con i propri artigli gli causò profonde ferite al volto e al petto. Vennero quindi stabiliti degli accordi per il trasporto dell’UFO e delle entità alla base USA di Wright Patterson, presso Dayton, Ohio. L’intero cargo venne imbarcato su due Galaxy C2, il 23 giugno dell’89, scortato dal personale dell’USAF.


Ulteriori informazioni su questo caso vennero a galla attraverso altri documenti, le indagini di noti ricercatori ufologici, o tramite corrispondenze.

Foto 6.Cynthia Hind foto 7. Leonard Stringfiel


Il caso venne studiato a fondo dalla ricercatrice Cynthia Hind dello Zimbabwe, autrice anche di un libro sugli UFO in Sud-Africa.

I primi elementi su questo incidente la Hind li apprese nell’ottobre del 1989, attraverso due ritagli di giornale che ricevette da un amico inglese,. In tali articoli un certo dott. Azadehdel, un medico armeno residente in Gran Bretagna, riferiva dell’abbattimento di un UFO da parte dell’aviazione sudafricana, i cui occupanti sarebbero stati poi trasportati negli USA. L’Evening Post del 23 settembre 1989 pubblicò che un ufficiale dell’Intelligence sudafricana, presumibilmente implicato nel caso, era stato ospite di Azadehdel per 3 settimane, nell’agosto di quell’anno, e gli aveva mostrato del materiale inerente il caso.

Sulla base di questi resoconti, la Hind scrisse a Leonard Stringfield, del MUFON il quale aveva già pubblicato diversi articoli su casi di recupero di UFO, chiedendogli se fosse a conoscenza di questo evento, e la sua eventuale opinione a riguardo.

Fra il 6 ottobre e il 2 novembre dell’89, Cynthia Hind venne contattata da un certo James Van Greunen. Questo nome non risultava affatto nuovo alla ricercatrice; infatti, ella aveva appreso dalla figlia di un’intervista televisiva in cui una persona con lo stesso nome, sui 25 anni, aveva reso nota la fondazione di un gruppo di ricerca a Johannesburg, il MUFORIN, sollecitando le adesioni dei telespettatori e comunicando il suo nome ed indirizzo.

Van Greunen chiese quindi alla Hind se fosse interessata a rivolgere un pubblico discorso al suo gruppo, formato da una trentina di persone. Disse che sarebbe tornato per gli accordi definitivi a questo riguardo. Van Greunen si fece vivo alcuni giorni dopo. Nel frattempo la Hind aveva appreso da un altro ricercatore, Kenny McKinson, che Van Greunen aveva reso nota la data stabilita per il suo discorso, nella sua rivista, organo del MUFORIN, ossia il 29 dicembre. Al telefono, Van Greunen confermò la cosa, menzionando il nome dell’hotel dove il discorso si sarebbe tenuto.

Chiese alla Hind di chiamarlo al suo arrivo a Johannesburg, per fornirle le informazioni definitive. Nel corso delle prime settimane di dicembre Van Greunen richiamò la Hind, comunicandole che forse sarebbe andato nello Zimbawe, alquanto inaspettatamente; lo preoccupava il fatto di trovare un posto in un hotel durante il periodo natalizio, per lui ed un suo amico. Cynthia Hind lo tranquillizzò, offrendosi di ospitarli ma lo pregò comunque di darle una conferma.

Da quel momento! Cynthia Hind non ebbe più notizie di Van Greunen!

La vicenda ebbe un esito inaspettato il 27 dicembre 1989, quando la Hind, in partenza per il Sud Africa, ricevette un inquietante telefonata da un anonimo. L’uomo aveva uno strano accento non ben identificabile: non era sudafricano, forse Belga o Olandese. L’individuo si espresse nei confronti di Cynthia Hind in questi termini: “Credo che tu abbia invitato James Van Greunen a casa tua, vero?! Se solo ci mette piede, finirà con trovarsi in guai seri! E’ un poco di buono e rappresenta una vera disgrazia per il Sud Africa…”. La ricercatrice era stupefatta! La voce continuò: “Sappi inoltre che se tenterai di indagare il caso dell’incidente al confine di Botswana / Sud Africa, avrai modo di pentirtene. E’ una storia che non ha niente a che vedere con te, pertanto faresti meglio a dimenticartene”. La Hind provò a protestare ma, inaspettatamente, nel corso della conversazione, la linea cadde. Successivamente, Cynthia Hind apprese da fonte attendibile che la persona dalla quale aveva ricevuto la telefonata doveva essere il dottor Azadehedel, il cui intento era quello di scrivere un libro sul crash in questione. Il Dr. Azadehedel è oggi meglio conosciuto con il nome di Armen Victorian*, e continua a perseguire con estremo interesse lo studio della materia ufologica.


Foto 8. Habib (Henry) Azadehdel. (alias “Dr Armen Victorian”, “Cassava N’ Tumba”, ”Dr Alan Jones”, ed altri)


La conferenza che doveva tenersi la sera del 29 dicembre, presso l’Hotel Johannesburg, non ebbe mai luogo. Van Greunen era misteriosamente scomparso con l’incasso della serata.

In seguito Cynthia Hind ricevette una lettera in cui si diceva che un gruppo aveva aiutato Van Greunen ad abbandonare il Paese, poiché egli si sarebbe reso conto di esser in pericolo di vita, da parte probabilmente dell’Intelligence sudafricana. Per motivi di sicurezza, egli si era quindi rifugiato in un luogo sicuro all’estero, precisamente a Monaco, in Germania.

Nel frattempo si erano accumulate parecchie prove a sostegno dell’UFO crash del Kalahari, rappresentate dai documenti prodotti da Van Greunen. Tale materiale, costituito da due set di cinque o tre pagine, pareva a prima vista autentico, e certo nessuno potrà biasimare quei ricercatori che su di esso profusero il loro impegno. Tuttavia, fu solo nel momento in cui Cynthia Hind ebbe modo di visionarne il contenuto di quegli scritti, che i sospetti riguardo la loro pretesa attendibilità cominciarono a farsi strada in lei. Infatti, avendo prestato a suo tempo servizio per tre anni nell’Air Force del Sud Africa – conclusisi con la sua promozione a sergente ed avendo preso parte, sotto speciale giuramento, ad operazioni combinate – sapeva benissimo che nessun ufficiale della SAAF mai avrebbe approvato un documento contenente tanti errori di ortografia e di terminologia militare, a parte il linguaggio oltremodo suadente.

Ovviamente, la Hind non poteva essere certa che Van Greunen fosse l’autore del falso, ma non aveva dubbi che di falso si trattasse. In seguito la ricercatrice apprese, infatti, che egli aveva “rielaborato” tali documenti, avendo avuto accesso a certi codici riservati delle SAAF. A tal fine probabilmente egli venne aiutato da terze persone, inserite in quegli ambienti: una doveva senz’altro essere Hendrik Greef, pilota militare e suo amico dai tempi di scuola. Uno dei documenti in questione reca un numero telefonico di Pretoria: 012-324-1411. Vi appare un altro numero telefonico: 010-711-211 che la Hind ritiene appartenere ai militari.


Foto 9. Il ricercatore tedesco Michael Hesemann


Chi era dunque James Van Greunen? Un truffatore in cerca di facili guadagni e notorietà oppure un inconsapevole “cavallo di Troia” manovrato dall’Intelligence per diffondere disinformazione su un caso che potrebbe avere un fondo di verità? Il ricercatore tedesco Michael Hesemann sembra propendere per la seconda ipotesi e ritiene gli avvenimenti descritti nei files sudafricani fondamentalmente esatti. A suo parere, l’incidente si svolte secondo la dinamica riportata nei documenti, pur evidentemente falsi, in quanto prodotti dal fantomatico Van Greunen.

Tali avvenimenti, inoltre, sarebbero strettamente intrecciati con la cosiddetta “Intervista Aliena”: la creatura che apparirebbe nel video, infatti, sarebbe stata recuperata proprio nelle circostanze dell’incidente del Kalahari, per essere poi trasportata a Wright Patterson e quindi nell’Area 51 dove sarebbe avvenuto l’interrogatorio, in totale coincidenza con le dichiarazioni del rivelatore noto come “Victor”.

In realtà, a nostro avviso, il caso sembra troppo bello per essere vero. Ricerche successive hanno infatti appurato che Van Greunen era solo un volgare mistificatore. Sedicente contattista, era solito organizzare convegni ufologici “fantasma” con l’unico scopo di incassare il prezzo del biglietto per poi sparire. E’stato condannato per bigamia e, dulcis in fundo, ha poi cambiato sesso assumendo il nome di Judith Helena van Greunen!



Note:

*Habib (Henry) Azadehdel è uno strano personaggio del sottobosco ufologico. Armen Victorian è solo uno dei tanti pseudonimi usati da Azadehdel, altri sono: Dr Alan Jones, Cassava N'tumba e Julian Philips. Di origine armena, ha acquisito la cittadinanza inglese nel 1979. Ha collaborato con diverse riviste ufologiche a sfondo cospirazionista. E’ anche autore del volume The Mind Controllers , pubblicato nel 1999. Azaddehdel si è occupato di diverse investigazioni UFO nel corso degli anni ’90, tra cui spicca quella relativa ai famigerati documenti Majestic12.



Fonti: