Ildegarda di Bingen: una visione liminale tra
misticismo, sciamanesimo ed ufologia
L’uomo è un accampamento di demoni.
(Basilide)
Ildegarda di
Bingen o Hildegard von Bingen (Bermershein 1098, Rupetsberg, Bingen, 1179) fu
una mistica tedesca. Entrò come oblata già a otto anni nel monastero
benedettino di Disibodenberg dove divenne monaca e badessa nel 1136. Fin da
giovanissima ebbe esperienze visionarie che, su suggerimento del monaco Volmar,
mise per iscritto: queste esperienze furono ufficialmente riconosciute come un
dono profetico da papa Eugenio III nel 1147. Fondò un monastero a Rupertsberg,
presso Bingen, dove rimase fino alla morte.
Tra le sue
opere, oltre all’epistolario, va ricordato lo scritto visionario “Scivias”
(Conosci le vie, 1141-1153): è un libro che descrive, in uno stile drammatico,
le sue visioni di Cristo. Non si tratta né di estasi né di sogni, ma di
immagini interiori in cui viene mantenuta la vista sensibile e dove la “visio”
è, agostinianamente, strumento di conoscenza e di comunicazione. L’opera ha un
disegno sistematico che ripercorre tutta la storia della salvezza. Nel “Liber
vitae meritorum” (1158-1163) l’immanenza di Dio, che anima il mondo come un
fuoco eterno, è rappresentata dalla figura
di un Uomo cosmico che infonde vita all’universo. Lo stesso tema è
rintracciabile nel “Liber divinorum operum” (1163-1170) in cui si ritrovano
motivi cari alla scuola di Chartres: la corrispondenza tra universo
(macrocosmo) e l’uomo (microcosmo), l’anima mundi, la creazione come teofania ed
incarnazione delle idee eterni che albergano nella mente di Dio.
Ildegarda
possedeva anche una vasta cultura nel campo della medicina e delle scienze
naturali: sono cognizioni documentate da scritti raccolti sotto il titolo di
“Physica” e “Causae et curae”. Questi testi accolgono sorprendenti intuizioni,
ad esempio l’eliocentrismo e la circolazione sanguigna. Ildegarda fu anche
autrice di pregevoli composizioni poetico-musicali e di un dramma morale, “Ordo
virtutum”.
Il
manoscritto di Rupertsberg mostra, tra le illustrazioni riferite alle
percezioni della santa, un’insolita miniatura: vi è raffigurata una donna
gravida coricata, congiunta per mezzo di un tubicino, ad una forma romboidale
sospesa nel cielo. Ai lati della donna sono rappresentati degli uomini
inscritti in un ovale: alcuni di loro reggono delle ceste contenenti
(all’apparenza) della frutta o dei pani. In alto nella parte sinistra della
composizione un folletto preleva un fungo da una canestra. Nella miniatura il
firmamento è trapunto di stelle, mentre il quadrilatero è cosparso di cerchi e
di “occhi”. In una banda centrale del poligono si nota una forma di non facile
identificazione: un volto? un altro fungo?
Se consideriamo le convenzioni iconografiche dell’arte medievale,
osserviamo che il rombo, secondo la prospettiva policentrica, è probabilmente
visto dal basso: gli inquietanti “occhi” dunque fissano dall’alto la donna
incinta, come ad ipnotizzarla, mentre i giovani, con contegno improntato a
devozione, sembrano voler offrire le primizie.
Nella
composizione le figure geometriche assumono notevole rilevanza: il rombo occupa
il settore superiore del “quadro”, mentre la “mandorla” non solo include le
figure, ma la sua curva, nella parte più bassa, coincide con il profilo
inarcato della donna pregna.
E’ un
soggetto davvero singolare, per certi versi incongruo, con l’elfo che piglia il
fungo, il tubicino che, dipartendosi dalla figura muliebre, si allunga sino al
rombo. In particolare, il fungo pare un richiamo ai vissuti sciamanici. E’ noto
che, sin dalla preistoria, i medicine men
erano usi assumere sostanze psicotrope estratte da funghi, quali l’Amanita
muscaria (genere Psylocibe): le sostanze psicoattive propiziavano la trance, il viaggio nei regni invisibili.
La miniatura inscena dunque una visione sciamanica? [1]
In che
misura, invece, la donna, il cannello e la losanga possono aderire ad uno
scenario ufologico classico, addirittura ad un resoconto di inseminazione per
opera di esseri “alieni”? Se rintracciare dei tòpoi ufologici all’interno dell’icona può apparire arbitrario o
persino destituito di fondamento, saremmo comunque inclini a scorgere nella
descrizione uno sguardo gettato in una dimensione enigmatica, forse al confine
tra celeste e demoniaco. E’ un bivio preternaturale in cui influssi e presenze
eterogenee si incontrano e si sovrappongono, come la parte comune di due cerchi
intersecati?
E’ probabile
che l’immagine in esame sia il riflesso di una complessa visione
simbolico-liminale e non lo spaccato iconografico di un fatto. Invero le figure
sembrano disegnare una sorta di albero cosmico che nasce dalla Madre-Terra. Non
solo, il cordoncino ricorda il filo d’argento che, durante i cosiddetti viaggi
astrali, lega il secondo soma all’involucro materiale.
Tuttavia il
crudo realismo di certi particolari e le analogie con quanto riportato da donne
vittime di rapimenti sono aspetti che è legittimo pure ricondurre ad un ambito
ufologico. Tale esegesi è per lo meno legittima nel caso di una visione di cui
si dà conto in “Scivias”. La religiosa la riferisce nel modo seguente: “Vidi
una struttura gigantesca e scura simile ad un uovo… Lo strato esterno era
interamente costituito da un fuoco scintillante e nella parte inferiore giaceva
qualcosa di simile ad una membrana scura… La vampa lo scuoteva con un fragore
simile al tuono, con una bufera ed una grandine di sassi appuntiti, grandi e
piccoli”.
Questa ed
altre percezioni della badessa vissuta nel XII secolo, sono state esaminate da
G. Bonn, nel saggio “Le visioni di Ildegarda di Bingen: un parallelo tra
documenti antichi e moderni”. Lo studioso le interpreta secondo i criteri della
Clipeologia, concludendo che la mistica vide degli U.F.O. Si può in linea di
massima concordare, purché l’ipotesi xenologica resti tale e non escluda altri
orizzonti: la simbologia, le esperienze mistiche, il contatto con sfere
incorporee.
Resta
comunque il sentore che alcune circostanze descritte dalla santa tedesca siano
indizi di un’interferenza “esterna”, come se, attraverso un varco in una realtà
metafisica, fosse penetrata qualche entità larvale. Sono proprio questi esseri
sinistri, questi parassiti psichici che oggi giorno quasi sempre si appiccicano
a coloro che, credendo di maturare esperienze spirituali, si invischiano in
situazioni di cieco, pecioso psichismo.
[1] Il fungo
delineato non assomiglia all’Amanita muscaria o ad altre specie delle
Amanitacee, ma a quei miceti dal cappello ad imbuto, ascritti alle Russulacee o
alle Cantarellacee. E’, però, l’Amanita muscaria il fungo che, per le sue
proprietà allucinogene, è conosciuto ed impiegato sin dalla preistoria.
L’Amanita muscaria è un fungo appariscente e piuttosto diffuso nei boschi di
Conifere e Latifoglie. Compare spesso nelle illustrazioni dei libri di fiabe e
nei cartoncini d’auguri. Negli esemplari giovani, l’intero corpo fruttifero è
coperto da un velo bianco, i cui residui a forma di verruche (che col tempo
possono scomparire) adornano il cappello rosso vermiglio, solcato al margine.
Le lamelle sono bianche, l’anello è pendulo e solcato. Il gambo è ingrossato
alla base con cerchi concentrici di verruche. Gli occhi ed i circoli della
losanga, se non si vuole pensare agli oblò di un’astronave, ricordano le
verruche del fungo: l’artista tratteggiò forse una gigantesca Amanita? Più si analizza
l’immagine e più essa appare contraddittoria, indecifrabile…
Fonti:
Enciclopedia del
Medioevo, Milano, 2007, s.v. Ildegarda di Bingen
G. Hancock,
Sciamani, Milano, 2006, passim
P. Harding,
Funghi commestibili e velenosi, Milano, 2003, s.v. Amanita muscaria
G. Ranella, Le
dimensioni parallele, 2012
G. Samorini,
Sciamanismo, funghi psicotropi e stati alterati di coscienza: un rapporto da
chiarire, articolo presente in Bollettino camuno di studi preistorici, vol.
25/26, pp. 147-150, 1990
E. Von Danichen
(a cura di), I misteri dell’archeologia: alla ricerca di tracce cosmiche sul
nostro pianeta, Roma, 2005, pp. 208-216